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Minority report

Jack Dorsey, Trump e le filosofie della Silicon Valley

Giovanni Maddalena

La paradossale utopia di un internet aperto a tutti fa acqua da tutte le parti: è il pericoloso boomerang dell'emotivismo etico. E l'ex presidente degli Stati Uniti, più che la radice, è il frutto del problema

Il pensoso Jack Dorsey, uno dei fondatori di Twitter, @jack per i frequentatori del social azzurro, ha rilasciato la scorsa settimana una lunga riflessione sul bando a Trump e sulle sue conseguenze. Si è molto detto e scritto sul tema di una delle decisioni più controverse della storia social, che ha messo a nudo il rischio di un’egemonia culturale globale di fatto, dettata da pochissimi giovani multimiliardari della West coast americana. L’interessante però è che la serie pensosa dei tweet di Dorsey non solo mostra il ragionamento, reale o apparente che sia, di autogiustificazione di uno dei magnati con la felpa, ma anche le concezioni che il suo lessico tradisce.

 

   

 

Una volta allontanato lo spettro di un’azione coordinata fra le cinque grandi aziende che hanno oscurato Trump, i suoi supporter più scalmanati e tutti gli altri possibili luoghi virtuali per un loro incontro, come accaduto al social alternativo e destrorso Parler, il Jack in vena filosofica ripropone la paradossale utopia di un internet aperto a tutti, una piazza neutrale, globale e virtuale, non determinata da “singoli individui o entità”. Paradossale, avendolo appena determinato con una singola azione e dicendo di “sentirsi” come un governo che prende decisioni. Al di là del contenuto, però, il linguaggio è significativo. Le parole più usate sono proprio “open”, alternato con – o unito a – “global”, per descrivere la rete e le varie declinazioni di “to feel”, sentire, per spiegare i processi razionali usati.

 

Qui abbiamo tutta l’ideologia di Silicon Valley. Da un lato l’idea che tutto sia aperto a tutti. Un altro fondatore di Twitter, Evan Williams, che ha abbandonato qualche anno fa la nave, diceva che avevano pensato che su internet non ci volessero le serrature delle porte, che avrebbero creato un mondo più pacifico e dialogante, senza pensare che la natura dell’uomo non lo permette. Già, il problema dell’apertura totale è che non pensa che ci sia il male. L’antropologia di Silicon Valley non lo prevede. Eppure il male è uno dei grandi misteri sempre presenti nella storia umana e sempre riconosciuto da tutte le religioni e le filosofie più intelligenti. Nella tradizione cristiana si chiama peccato originale proprio perché se ne sottolinea l’intrinseca presenza nell’essere umano. Tutte le ideologie che non sono partite da questa realistica osservazione sono finite in violenze peggiori di quelle che avrebbero voluto evitare. Infatti, se l’essere umano non ha per natura questa inclinazione al male, è solo questione di forza di volontà: basterà obbligarlo a essere buono.

 

Ma come si farà a capire che cos’è buono e cattivo, giusto o sbagliato delle singole azioni? Ed ecco l’altra parola: feeling. Lo sentiremo, lo percepiremo. L’emotivismo etico è stato molto studiato e criticato durante il Novecento. Non è che i sentimenti non siano importanti e alle volte decisivi per indirizzarsi al vero, ma affidarsi a essi come criterio di giudizio lascia gli esseri umani soli, privi di relazioni vissute e di valori condivisi. A quel punto, prevale chi è più forte, nel sentire o nel costringere a sentire. Purtroppo, il combinato disposto dei due elementi ideologici non promette niente di buono, e lo stesso Trump potenzialmente violento che Dorsey ha bandito è più il frutto che la radice del problema. Speriamo che @jack continui a pensarci e a porsi delle domande, e che incontri qualche filosofia migliore di quelle stanno circolando a Silicon Valley.