Tutto comincia il 18 gennaio con Di Maio. O meglio, con Augusto Minzolini che, su Twitter, cita Di Maio. E scrive: “Di Maio: meglio le elezioni che il governassimo”. Poi aggiunge: “Un’affermazione che di per sé fa ridere”. Già. Fa ridere. E tanto. Ma solo dopo, perché sulle prime il dubbio è che si tratti di una frase riportata con precisione filologica. Voglio dire, stiamo parlando di Di Maio, e se non è intenzione di chi scrive alimentare gli arcinoti sarcasmi sugli esecrabili eccessi di disinvoltura lessicale e sintattica del ministro senza più apriscatole, non si può tacere il fatto che, per un momento, si è restati lì, tentennanti e trafitti dalla possibilità: aveva detto davvero, Di Maio, il “governassimo”? No, non l’ha detto. Trattasi di refuso minzoliniano. Svista sublime, però. E che vede moltiplicato il proprio effetto comico proprio perché “il governassimo” è purissimo dimaiese. Svista che sembra tratteggiare, insieme al nostro dubbio da tre secondi, una cruda verità: l’epoca è talmente grama che ci si trova a frugare nei refusi con soddisfazione. Aruspici da spazzatura, solo lì ci sembra ormai di trovare lampi di verità possibili, un qualche secco tratto sardonico, inattese epifanie, e molto di quel che si smarrisce nella farragine del commentodromo specializzato, della stupidità intelligentissima delle dimostrazioni a tutti i costi, delle acrobazie delle gergalità e dei tecnicismi, della mistificazione permanente.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE