Nell’ottobre del 2002, in una serata fredda e limpida, sono andata a vedere uno spettacolo di Luca Ronconi: uno spettacolo che ha spostato un po’ più in là le frontiere del teatro contemporaneo e ha fatto molto discutere per il suo approccio massimalista. Quello spettacolo s’intitolava Infinities e non lo davano a teatro, ma negli immensi capannoni industriali che ci sono alla Bovisa, capannoni che per molti anni erano stati il deposito delle scenografie della Scala. Si aveva la sensazione che il teatro volesse perdere l’allure di rito borghese, tipico della città di Milano, e volesse avvicinare l’arte e il suo pubblico ai luoghi della produzione e della tecnica. Che volesse lanciare una sfida. Infinities non era uno spettacolo con un palco e un pubblico seduto, ma un percorso attraverso cinque grandi ambienti.
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