il foglio del weekend
Ed è già sapore di mare
Ad agosto pandemia non ti conosco. Campeggi, appartamenti, bed & breakfast. Il boom di prenotazioni per la prossima estate, soprattutto in Italia, somiglia a un rito liberatorio. Se pensi alle vacanze significa che sei ancora vivo
Comunque vada, prenotiamo. Quali che siano i colori, gli Rt, le proiezioni, le curve, i bonus e i ristori, programmiamo le vacanze estive, certi che il virus ci darà una tregua, il vaccino una copertura, Draghi gli schei, l’Europa una meta; convinti che fermare un appartamento su Airbnb sia, oltre che di buon auspicio, un esercizio di slancio vitale. Se pensi alle vacanze, significa che sei ancora vivo, e non hai la pandemic fatigue, né la depressione, e sei rimasto italiano, perché un italiano a tutto s’adatta e a tutto rinuncia meno che al buono pasto, alle vacanze e al telecomando. Passi la Pasqua in cattività, ma ad agosto pandemia non ti conosco. Se prenoti, peraltro, hai la benedizione di Mario Draghi, che venerdì ha detto: lo farei anche io, se potessi andare in vacanza. Noialtri, modestamente, possiamo. Si prenota un po’ per poter vivere.
La campagna vaccinale e i suoi disastri, il contagio e i suoi passi da gigante, l’impoverimento che incombe: niente potrà fermare quest’onda che viene e che va, dalla prima alla seconda casa, da Linate alle Maldive, dalla comprovata esigenza lavorativa alla Scogliera di Punta d’Erce. Le prenotazioni di campeggi, case vacanze, b&b, barche e mulini a vento procedono a ritmo pazzo e crescente, con i prezzi che lievitano come in un’asta. A Fregene non ci sono più case disponibili, “tranne quelle di alcuni proprietari che aspettano di capire se nei mesi estivi si potrà viaggiare: in quel caso, le metteranno sul mercato all’ultimo momento”, ha detto alla Repubblica Franca Bittelli, titolare di un’agenzia immobiliare fregenina (fregenesca, fregeniana?). A Santa Marinella, modesta località balneare alla quale Fulminacci ha dedicato la sua unica canzone modesta, affittare una villa con piscina arriva a costare 15 mila euro al mese. In “Viaggi di Nozze”, a Verdone che gli diceva di aver prenotato “un giro che fanno tutti, Tunisi, Cairo, Luxor”, il fratello rispondeva: “Santa Marinella, io, a casa de mi socera me so’ fatto er viaggio di nozze, io”. Erano molti anni fa, ora la pandemia ha impreziosito i sobborghi con la potenza di mille gentrificazioni, un prodigio persino più grosso dell’aver fatto di noi dei maratoneti, dei monogami, dei rispettosi della fila, dei lettori.
Quasi nessuno organizza viaggi in città d’arte, non c’è che da andare tutti al mare, dopo dodici mesi e passa di teletutto, serie tv, podcast sul medioevo, tour virtuali nei musei, dad dei figli propri e degli altri, l’italiano vuole il lido, il bungalow, le passeggiate in pineta e nel bosco, vuole il naturale e non il culturale. Vuole il selvatico, viene da mesi ospedalieri, in provetta, in guanti e siccome ha sotto gli occhi i magri risultati ottenuti, pensa: al diavolo, fatemi assembrare in un villaggio Alpitour. Verso il mare, in verità, gli italiani non hanno mai smesso di andare, popolo di navigatori molto più che di naviganti, ostacolati come sono dal digital divide. A gennaio scorso era venuto fuori che il bando delle mete esotiche aveva ispirato “i furbetti del lockdown”, che s’erano organizzati, in combutta con alcune agenzie di viaggi, per raggirare i dpcm e raggiungere le Maldive e Dubai con in tasca una certificazione di comprovata esigenza lavorativa o di studio. Guardi, agente, mi faccia passare, non vorrei arrivare tardi al mio corso di biologia marina, il diploma in snorkeling mi attende, dopo una vita di sacrifici.
Il Fatto quotidiano aveva raccontato della struttura Soneva, alle Maldive, rimasta aperta durante tutta la prima quarantena, dove molte agenzie avevano spedito i propri clienti danarosi per più di tre mesi, al costo di 2.500 euro al giorno (3.700 per chi sceglieva di risiedere in una palafitta in mezzo al mare), con rilascio finale di attestato per aver frequentato con profitto un corso in astronomia. Nanni Loy ne avrebbe fatto un capolavoro. “Mio fratello ha conosciuto dei ragazzi in un aeroporto delle Canarie, lo hanno invitato in un gruppo clandestino di europei contrari alla quarantena che stavano mettono insieme i soldi per affittare maxi ville con piscina. Ha messo la sua quota e ci ha detto che a Pasqua ci manderà una foto da lì”, racconta al Foglio la parente di un cervello in fuga – non possiamo dire chi è, vi basti sapere che non si tratta di Elisabetta Canalis.
Gli italiani tendono a una vita in vacanza, e va bene, ma non sono i soli a non voler rinunciare alle ferie, ora che la pandemia rischia di allungarsi fino alla fine dell’anno, e viaggiare è diventata una pulsione ormonale insopprimibile. La coazione alla spiaggia ha travolto tutti, inclusi i tedeschi – in “Amarcord” di Fellini erano i primi a farsi il bagno, quando la primavera era ancora invernale: “Le manine sorvolano il nostro mare con i tedeschi, datosi che il freddo non lo sentono, loro!”. La settimana scorsa, non appena Maiorca è stata rimossa dalle zone a rischio, ha registrato un’impennata di prenotazioni di tedeschi, che – così scrive il Mitte – la amano di un amore antico e fedele. Di contro, il governo potrebbe ratificare un divieto di viaggio almeno verso le mete forestiere più richieste. Poveri tedeschi, anche loro dovranno rassegnarsi al turismo a chilometro zero, alle gite fuori porta nella foresta nera, alla vacanza balneare in riva a laghi ghiacciati, alla settimana pensile.
Daniel Trovato, Ads Research e manager di Google, ha detto che quest’anno i viaggi sono stati una delle cose più indagate e che in quest’ultimo mese le parole chiave delle ricerche sono state: resort vicino a me, app prenotazione di hotel, formato, tessera andare a. Gli albergatori della costa ligure e di quella romagnola sono assediati da prenotatori ottimisti, irriducibili vacanzieri, appassionati villeggianti, tutte figure che forse riusciranno ad assorbire il turista, che prima della pandemia tutti dicevamo di detestare, riconoscendone le responsabilità culturali che Arbasino, molto prima che i voli lowcost e i b&b rimpicciolissero il mondo, aveva perfettamente individuato. Scriveva Arbasino nell’introduzione a “I viaggi perduti” (Bompiani, 1985): “Questi sono gli itinerari e le spedizioni che avremmo tanto amato fare, e che non si potranno fare mai più, perché i luoghi sono profondamente mutati, anche se qualche monumento appare intatto. L’aura è svanita, il contesto è devastazione e sovrappopolazione; e un’edilizia generica, pressoché identica e nata cadente ovunque, soffoca e nanifica i siti più illustri”.
E vuoi vedere che adesso quel che gli intellettuali non hanno potuto (come non possono mai niente), lo farà il covid, riportando i turisti in riviera e i viaggiatori in città? Facciamo sì che a Venezia restino i delfini e non tornino i vacanzieri intelligenti, quelli ciccioni che in Biennale si siedono dove non devono, s’addormentano con la bocca aperta e gli altri li prendono per un’istallazione artistica, come in quel Sordi che tutti conosciamo. Ai proprietari rivieraschi, intanto, sta accadendo di venire continuamente tentati dagli speculatori stranieri, che li sanno provati dalle molte chiusure, e quindi, con voce flautata e fare demoniaco, contattano i piccoli imprenditori di provincia e propongono loro compravendite immobiliari. Tuttavia, quello che non sanno è che alcuni di loro hanno ceduto a diavoli minori, agli orfani della movida, ai boomer peccaminosi che negli alberghi, in questi mesi, hanno organizzato cene e feste clandestine, lautamente pagate, con sovrapprezzo carbonaro. Il clubbing s’è momentaneamente spostato nei corridoi degli hotel.
Come che sia, ora che la riviera romagnola è “un posto dove si buttano i sogni”, anche se in un senso diverso da quello che intendeva Tondelli, e gli italiani vogliono tornarci, gli albergatori respirano, sperano e sì, buttano i sogni, cioè le prospettive, e vivono il presente, che è il ristoro assicurato a tutti. L’alta hotellerie non si ferma, scrive il Sole 24 ore: tra il 2022 e il 2023 i grandi gruppi di prestigiose compagnie alberghiere del lusso apriranno nuovi cinque stelle in moltissime città d’arte. Il molto abbiente, già da prima del covid, mostrava la tendenza a fare, talvolta, dell’albergo la sola e unica meta del viaggio, della vacanza. Mentre i poveracci si accalcavano nei bungalow e nelle case delle nonne di laureati in Giurisprudenza, in contemporanei gran tour tra Napoli, Matera, Trapani e Bari, i ricchi se ne andavano in lockdown in cinque stelle vertiginosi costruiti dove nemmeno gli abusivisti avrebbero mai osato.
Delle due tendenze, quella che sembra più destinata a consolidarsi nel futuro post pandemico è la seconda. I poveri se ne staranno a casa, tutto il giorno in una piscina gonfiabile rubata ai figli, sul balcone, a fare bodyshaming delle fidanzate degli ex insieme ai vicini, anch’essi balconati poiché non aventi diritto a nessun bonus vacanze. Certo, avremo sempre Riccione, Rimini, Metaponto Lido, agevolmente raggiungibile con un Intercity Roma-Taranto. Il milanese che va a Metaponto, forse, coglierà l’occasione per allungarsi a Matera, come dice al Foglio Antonio Panetta, presidente di Federalberghi Basilicata: in estate, Covid o no, la città è una gita d’evasione dalla vacanza balneare. Per ora, le prenotazioni nella nuova stella del sud sono scarse, ma lo erano anche l’anno scorso di questi tempi, e poi però i mesi estivi sono andati a gonfie vele. La vacanza al mare si prenota indipendentemente dalla congiuntura, con una specie di fretta, di paura, mentre quella in città no, è l’ultima riserva, la chance in coda, la scappata.
L’italiano vuole andare in ferie e non soltanto stare in ferie: avere una vacanza da raccontare aumenta le quotazioni sociali e di questi tempi certifica coraggio e resilienza. Di tutto l’italiano rimprovera il suo prossimo meno che della vacanza al secondo anno di pandemia: è la sola eccezione che concedono anche i nazi dell’assembramento. Al pari dell’anno scorso, le vacanze non saranno una fuga da noi stessi, dal nostro tempo, dalla nostra età, da un matrimonio infelice, da un figlio insostenibile: questi bagagli non solo dovremo portarceli dietro come sempre, ma non potremo scambiarli con nessuno, poiché il distanziamento ha permeato tutto, redistribuito tutto, dalle tensioni dello spirito alla collocazione degli ombrelloni, e d’avvicinare altri infelici avventurieri è probabile che non ci venga neppure lo sfizio.
Prenotiamo vacanze come l’anno scorso disegnavamo arcobaleni, senza un perché, senza dirci altro che abbiamo visto un posto che ci piace, si chiama mondo e vogliamo tornarci il prima possibile. I bar e i ristoranti ci mancano e allora scarichiamo playlist che ne riproducono i suoni, lo facciamo per collezionismo, ormai abituati all’assenza, in fondo neppure troppo dispiaciuti dall’idea di continuare per un altro anno a pranzare senza cenare e a bere il caffè in strada dentro un bicchiere di cartone, come i newyorchesi. Ma delle ferie abbisogniamo in presenza, non importa se a Capri o a Policoro: non intendiamo rassegnarci a rinunciare a villeggiature deludenti, che nella delusione hanno la loro poesia, la ragione per cui partiamo per cambiare tutto e torniamo sempre all’ovile, la ragione per la quale nasciamo incendiari e crepiamo pompieri.
Il primo racconto di “Le piccole vacanze” di Arbasino finisce con l’elenco delle cose che il suo protagonista, un fanciullino metropolitano, ha amato durante il soggiorno in campagna, dove sa di aver trascorso l’estate per l’ultima volta. E dice: “Non sarò ragazzo mai più e neanch’io lo vorrei, però mi è piaciuto molto”. E’ il senso di questo nostro prenotare, affannarci, scorrere mete, indebitarci per una settimana senza dubbio tremenda sulla costa ionica calabrese: tornare a sentire qualcosa che abbiamo avuto, che siamo stati, che non rivorremmo indietro, ma che abbiamo amato molto, capendolo, naturalmente, in ritardo. Quest’anno, persino i pantofolai sociopatici tenteranno un fine settimana a Cattolica.
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