"Una giornata particolare" di Ettore Scola (Ansa) 

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Equiparare identità di genere a religione e razze? L'abbiamo già fatto nel '38

Giacomo Papi

Il fascismo non si preoccupò di istituire il reato di omosessualità: negò direttamente che esistessero omosessuali in Italia. Oggi è sconfortante vedere ancora equiparate le identità di genere a religioni e razze

L’ennesimo rinvio voluto dalla Lega della discussione in Senato del ddl Zan, mi ha fatto venire voglia di studiare la politica del fascismo verso omosessuali e transessuali. Ho trovato differenze, consonanze e un contrappasso. Il ddl Zan aggiunge motivi “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità” all’elenco delle discriminazioni per la religione, la nazione e l’etnia già previste dal Codice penale e dalla legge Mancino. Lega, Fratelli d’Italia e la Cei, l’assemblea dei vescovi, sostengono che il provvedimento sia inutile perché per fortuna in Italia commettere e incitare alla violenza contro chicchessia sono già reati. Negano, cioè, che la discriminazione o la violenza verso gay, trans e lesbiche sia un problema specifico. Il fascismo fu più radicale: negò che in Italia gli omosessuali esistessero proprio.

 

 

Quando si trattò di approvare il Codice penale Rocco del 1927, la commissione ministeriale presieduta dal magistrato Giovanni Appiani, decise a sorpresa che non c’era bisogno di istituire il reato di omosessualità, a differenza di quanto aveva fatto il nazismo: “La previsione di questo reato non è affatto necessaria perché per fortuna e orgoglio dell’Italia il vizio abominevole che ne darebbe vita non è così diffuso tra noi da giustificare l’intervento del legislatore, nei congrui casi può ricorrere l’applicazione delle più severe sanzioni relative ai diritti di violenza carnale, corruzione di minorenni o offesa al pudore, ma è noto che per gli abituali e i professionisti del vizio, per verità assai rari, e di impostazione assolutamente straniera, la polizia provvede fin d’ora, con assai maggior efficacia, mediante l’applicazione immediata delle sue misure di sicurezza e detentive”. Insomma, le checche erano tutte inglesi e francesi, e le lesbiche non ne parliamo (l’Austria fu l’unico paese europeo a punirle, quindi a riconoscerle).

 

Per questo – come ha ricostruito Giovanni Dall’Orto, il maggiore studioso italiano dell’omosessualità – è impossibile quantificare la persecuzione almeno fino al 1936 quando le prime leggi razziali equipararono gli omosessuali a una “razza” e il reato diventò politico. In un articolo del 1926 sulle lettere dal carcere di Oscar Wilde apparso sul Popolo d’Italia, allora diretto da Arnaldo Mussolini, il silenzio era teorizzato: “Curiamo di mantenere pura e vigile la fortunata sanità del nostro popolo, e se ascoltiamo con piacere a teatro ‘Il ventaglio di Lady Windermere’ o ci compiaciamo per ‘La casa del melograno’ o ‘La ballata del prigioniero’, dove questo mediocre poeta e scrittore di derivazione pur tocca certe note umane profonde, nei giornali italiani – che vanno per le mani di tutti – si faccia il silenzio intorno alle documentazioni epistolari di vergognose malattie, abbandonate al pubblico sotto pretesti vagamente letterarii. Il silenzio è l’unica forma di rispettosa pietà per il morto e di preservazione dal contagio per i vivi”.

 Fu una persecuzione invisibile e silenziosa, che non ammetteva neppure l’esistenza di quelli che perseguiva. Bastava il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza che dal 1931 affidò alla polizia il potere di punire senza processo chiunque desse scandalo, ammonendolo, multandolo, menandolo o mandandolo al confino. Lo zelantissimo questore di Catania Alfonso Molina scatenò una guerra personale contro "la piaga della pederastia", mandando al confino 42 gay “passivi” (gli “attivi” furono considerati veri maschi) e trasformando l’isola di San Domino nelle Tremiti nel primo Gay village della storia. Per i travestiti c’era l’articolo 83 che valeva sempre, tranne che a carnevale: “E’ vietato comparire mascherato in luogo pubblico. Il contravventore è punito con l’ammenda da L. 100 a 1000”. 

 

 

L’omosessualità ovviamente esisteva anche tra i fascisti, a tutti i livelli (come esiste nella Lega e nella chiesa). Nel 1933 il segretario Augusto Turati fu espulso dal partito – lo scrive Mussolini in una lettera – per essere stato accusato da Farinacci di sodomia, e non per le contestuali accuse di coprofilia, masochismo e pedofilia. Certo, se eri fascista e “attivo” era meglio: tra i casi trovati da Dall’Orto c’è, per esempio, il pestaggio avvenuto a Piacenza nel 1938 di un sarto accusato di atti di libidine nei confronti “dell’Avanguardista Franco F.”, su cui purtroppo aveva già messo gli occhi “il dott. T.” “ufficiale della Gioventù Italiana del Littorio” che “trattava con speciale simpatia l’Avanguardista F. perché giovanetto sveglio ed intelligente” (la nota è dei carabinieri). Per fortuna oggi nessuno nega che in Italia esistano persone lgbt+. Si nega che siano discriminati per questo e che, comunque, la discriminazione costituisca un’aggravante specifica. Quello che mi pare sconfortante è che per affermare i diritti si finisca di nuovo per equiparare, come nel 1938, i gusti sessuali e le identità di genere alle religioni e alle razze.

 

 

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