Saverio ma giusto
Bisogna "adeguarsi al sistema". Ma quale?
Altro che Fedez. Chi lavora in Rai ormai non sa più a chi debba rispondere, né di cosa. Per la linea editoriale serve una guida spirituale
Spero i lettori di questa rubrica mi perdonino se per una volta attingo a fatti personali, ma si dà il caso che il sottoscritto incroci spesso la propria strada con quella della Rai; e altrettanto spesso il sottoscritto si “adegui al sistema”, come dicono adesso in azienda quando devono far finta di sapere quello che ti stanno dicendo. Giusto un anno fa un mio servizio umoristico sull’uso delle mascherine ha rischiato di non andare in onda all’interno di un programma Rai (consegno sempre il mio lavoro prima perché sia approvato, è normale quando lavori con un editore e non per il tuo profilo social): alla fine del servizio ero nudo con solo una Ffp3 indosso lì dove non batte il sole (questo sei mesi prima che Sacha Baron Cohen facesse la stessa gag per promuovere il suo nuovo “Borat”) e secondo un funzionario Rai questa mia satira iconoclasta era “vilipendio a presidio medico sanitario” (sic). Avessi registrato come Fedez la telefonata nella quale mi veniva comunicata questa intenzione editoriale mi avreste visto ridere a crepapelle; e la stessa reazione dilagò fra gli autori e il conduttore di quel programma, portando persino il funzionario Rai a più spiritosi consigli (il servizio infine andò in onda integralmente; e nessun membro del Cts o dell’Oms si sentì leso nella sua maestà).
Dieci anni prima, un capostruttura Rai mi disse che non potevo dire (all’interno di un mio monologo paradossale dove ribaltavo la retorica razzista) che “l’Italia è l’unico paese al mondo dove il premier è italiano”, perché il premier era Silvio Berlusconi ed era meglio non fare battute che lo riguardassero. Invece quest’anno mi è stato chiesto di modificare la seguente battuta: “Sarà un autunno caldo: per protesta contro il governo un gruppo armato rapirà la carta di credito di Mario Draghi. Verrà ritrovata dopo 55 giorni in via Caetani, smagnetizzata” – in Rai ritengono ancora indelicate le battute che contengano riferimenti al delitto Moro (1978) o al dramma di Vermicino (1981), con buona pace del teorema di Lenny Bruce “la comicità è tragedia più tempo” o delle ore spese da Ricky Gervais a spiegare la differenza fra la superficie di una battuta e il suo reale bersaglio. Per non parlare di quella volta che dopo aver lavorato per sette mesi a un progetto per RaiPlay mi fu riferito che non se ne faceva più nulla perché, dopo una polemica sui migranti fra l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini e il direttore artistico del Festival di Sanremo, Claudio Baglioni, “non c’era più il clima” – da allora controllo sempre le previsioni del meteo prima di investire tempo ed energie in un progetto Rai.
Da tutte queste esperienze ho imparato che sì, in Rai esiste un “sistema” al quale “adeguarsi”: ma quale sia non lo sa nessuno, nemmeno in Rai! Ai direttori, ai loro vice e ai capostruttura va tutta la mia solidarietà, e lo dico senza ironia: essi brancolano nel buio, non sanno più a chi debbano rispondere né di cosa, lavorano in condizioni kafkiane. Parafrasando Beppe Viola: hanno quarant’anni (anzi di più), quattro figlie e la sensazione di essere presi per il culo. Propongo nelle prossime nomine di mettere ai vertici dell’azienda un rabbino del Talmud, un cardinale mistico, un astrologo, un aruspice e un life coach: guide abituate a interpretare l’impenetrabile, a rispondere alle grandi domande, a dare un senso alla vita – e quindi, chissà, forse anche una linea editoriale.
generazione ansiosa