La maternità “sbagliata” di Luana e la paura di chi non accetta di rischiare

Ritanna Armeni

Per suo figlio aveva organizzato le sue giornate con rigore, aveva cercato di eliminare incertezze, aveva sfidato il futuro

Luana aveva 22 anni quando la sua vita è stata stroncata, ne aveva  17 quando ha avuto suo figlio, 16 quando si è accorta di essere incinta. Era poco più di una bambina, ho pensato, leggendo tanti articoli, commenti e accorati ricordi della sua vita che su questo punto però non dicono niente. Da quella bambina non sono riuscita a staccare il pensiero. Chissà che cosa aveva pensato quando si era accorta di aspettare un figlio. Per una donna non è mai un momento qualunque. Lo è tanto meno per chi ha poco più di 16 anni. Non conosco – nessuno ha raccontato – le circostanze in cui questo è avvenuto. Posso solo supporre. Ha avuto paura? Si è  sentita in colpa? Ha provato vergogna? Era sola o qualcuno le è stato vicino? Certamente – questo mi sento di affermarlo con un certo margine di sicurezza – la sua non è stata una maternità voluta, programmata. È più probabile che sia stato un errore, se ne possono commettere a quell’età. Per inesperienza o ingenuità o per inconsapevolezza. E, quando si sbaglia, è facile cadere nel pozzo della depressione o della disperazione e magari sbagliare di nuovo. O rimanere segnati in modo indelebile. O non riuscire a distinguere con nitidezza che cosa si vuole dal futuro.

 

So che a Luana non è accaduto nulla di tutto questo. E quando penso alla sua vita inghiottita dall’orditoio di una fabbrica tessile non posso fare a meno di pensare come quella vita fino ad allora, fino all’epilogo tragico, lei  l’avesse saldamente tenuta in mano. Come l’avesse costruita pezzo a pezzo distinguendo, cercando l’essenziale. L’errore c’era stato, certo, ma si era trasformato in una nuova esperienza. La maternità non programmata aveva dato inizio a un nuovo progetto di vita. Luana non si era limitata ad accettare suo figlio, a partorirlo, ad accoglierlo, su quella esistenza nata dall’inconsapevolezza e dall’errore aveva  ricostruito la sua, lei l’aveva trasformato in consapevolezza, maturità, rinascita. Per quel bambino era andata a fare l’operaia, mestiere che oggi non ha nulla di eroico e gode di scarsa considerazione sociale. Per lui aveva organizzato le sue giornate con rigore, aveva cercato di eliminare incertezze, aveva sfidato il futuro

 

Guardando alla maternità “sbagliata” di Luana non ho potuto fare a meno di pensare alle tante donne che oggi ne vogliono una certa, sostenuta, protetta, che non limiti la loro libertà. E per questo non commettono errori, non accettano incertezze. Sono drastiche nel rifiuto. Hanno ragione? Probabilmente sì. Hanno ragione a volere che la loro vita e la loro libertà siano rispettate fino in fondo. A mandare un messaggio a una società che della maternità se ne frega e pensa che sia solo responsabilità della donna. Poi penso a Luana, alla fecondità del suo errore, a come questo l’abbia aiutata a orientarsi, a scegliere di vivere fino in fondo la sua breve vita. E la libertà di chi non accetta rischi mi pare malinconica, limitante. Da ripensare, comunque.

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