Napoleone siamo noi. Evviva!
Contro la cancel culture, un ricordo illuminato: magnifico Macron
Ci voleva. Macron è sicuramente l’uomo di stato più colto e intelligente in Europa. Per prenderlo in giro, la meravigliosa Merkel, campione di realismo e medietà, una volta gli disse che era un “giovane uomo sempre pieno di idee”. Ha riunito nomenclatura politica e culturale all’Institut, una delle tante rivitalizzazioni di Bonaparte, creatore di grandi scuole, codici, dipartimenti, prefetture, banche centrali, insomma della struttura postrivoluzionaria dello stato francese, che dura tuttora, e ha offerto loro un generoso e bellissimo manifesto contro la cancel culture degli anglosassoni, gli eterni e per certi aspetti vittoriosi nemici dell’universalismo gallico. Proprio un discorso alto e forte, denso e sapidamente retorico, scritto e letto magnificamente.
Il centro dell’allocuzione, ovviamente, è che Napoleone siamo noi, che non possiamo giudicare un’esperienza limite, folle e avventurosa, realistica e carica di destino per l’Europa e per il mondo, il canto della ragione, con i mesti criteri del contemporaneo spirito censorio, e nemmeno con gli occhiali del progresso e della giusta revisione invalsi rispetto ad allora, quando donne e uomini erano diseguali per statuto, quando le colonie erano un mondo di serie B rispetto alla madrepatria, quando la guerra distruttiva e lo “spirito del mondo a cavallo” (Hegel sull’Empereur a Jena) erano la forma dell’umanitarismo e dell’universalismo che oggi si radica nella pace e nel primato della vita umana. Abbiamo riformato la pena di morte, abbiamo dettato le regole dell’eguaglianza di genere, dice Macron, ma questo non significa che non siamo figli dell’esperienza storica tutta, compreso Bonaparte, e nel suo ruolo insigne di costruttore della sovranità nazionale, dello stato tecnico-politico, della cultura e della scienza come strumenti di avanzamento dell’umanità (la campagna d’Egitto, ha detto giustamente, fu oltre al resto una spedizione scientifica, forse la più grande mai intrapresa). Napoleone ha seppellito e stabilizzato, resuscitandoli sulla punta delle baionette, gli ideali dell’Ottantanove, ha varcato l’abisso che i francesi primi nel mondo avevano scavato tra la modernità e il passato dell’Ancien Régime. Pierre Besuchov lo voleva uccidere, nella Mosca che in effetti fu la sua tomba, ma in fondo era per amore di Natascia, come spiega bene Lev Tolstoj.
Macron ha il problema di essere rieletto l’anno prossimo, e di vincere la sfida con la destra di Marine Le Pen, ancora una volta nel segno della Francia e dell’Europa. Il suo è anche un grande discorso opportunista, un tentativo politico di non cedere la bandiera nazionale all’avversaria e di riscattare quel che resta della Grandeur napoleonica, repubblicana e gaulliana, in un momento in cui il suo paese e l’Europa cercano di trasformarsi. Nel bicentenario della morte di Napoleone, non poteva fare altrimenti, si dirà. La eco del giovane che si afferma attraverso l’esercizio della volontà e dell’energia personale, contro le leggi deterministiche della storia come storia delle forze e non delle personalità, è in certo senso parte della sua eco personale. Il concetto stesso della nostalgia del Re decapitato, che aveva posto come ipotesi francese in una sua celebre intervista, è rieditato alla grande da un pulpito presidenziale, a quattro anni ormai da una inaspettata vittoria campale.
Ma certo avrebbe potuto esercitarsi in una scialba riproposizione del vecchio amore dei francesi per il grande uomo, per il provvidenziale, appunto per il destino, un amore risorto vent’anni dopo la morte dell’imperatore con i suoi funerali colossali, nel 1840, e la sua consacrazione agli Invalides. Invece ha tenuto una lezione di storia universalistica, e di ideologia liberale contro la cultura politicamente corretta, per il ricordo illuminato, e non per la celebrazione esaltata, di quel Bonaparte di cui Chateaubriand disse più o meno che “da vivo aveva mancato i suoi obiettivi, da morto li aveva realizzati tutti”. In questi duecento anni pare che sia stato pubblicato un libro al giorno su questa reincarnazione di Alessandro Magno e di Giulio Cesare, che nel suo chiaroscuro fu anche un Nerone, parola di Macron, e la conclusione enfatica e clamorosa del discorso all’Institut, che farà impazzire di rabbia inglesi e americani, è che “il sole di Austerlitz brilla ancora”. Bel colpo.