spazio okkupato
La tecnologia ci controllerà, ma con la moral suasion
Niente guerra tra umani e robot: le app con cui interagiamo tutti i giorni puntano sul rinforzo positivo, come un maestro saggio e comprensibile. E alla fine, la nostra preoccupazione più grande è non deluderle
Sto costruendo un rapporto emotivamente problematico con il mio nuovo spazzolino. Ogni sera prima di lavarmi i denti mi sento agitato perché non voglio deluderlo e mi impegno affinché sia contento di me. Il mio nuovo spazzolino da denti è un Oral B Smart 4 400N black edition dotato di testina sostituibile, sensore elettrico di pressione e bluetooth. Misura 17,9 centimetri con testina e pesa 490 grammi. E’ bellissimo, ma mi mette un po’ ansia. E’ stato il mio dentista a convincermi. Mi ha assicurato che i miei denti sarebbero stati al sicuro e forse ha ragione (ho un sorriso bellissimo) ma inizio a essere preoccupato per la mia testa. Dicevo, ogni sera, quando viene il momento, mi predispongo alla performance, perché so che lui se ne accorge. Carico un po’ di pasta dentifricia sulle setole, poso il mio spazzolino sul bordo del lavandino e apro sull’iPhone l’app di Oral B che mi aiuterà a eseguire un lavoro perfetto. Apro la bocca e premo il pulsante di accensione, ma l’app non si scompone. E’ nell’istante in cui le setole sfiorano i denti che si rianima tutta.
L’operazione dura due minuti in tutto, 30 secondi per quadrante, perché è così che funziona: sullo schermo appare la tua arcata dentale divisa in quattro quarti, e via via che spazzoli si colora, dente dopo dente, all’esterno e all’interno. L’app ti guida, ma al contempo ti sorveglia, perché non vuole che tu prema troppo forte, il trucco è tutto lì, essere leggeri, accarezzare ogni dente e le gengive per rimuovere la placca senza intaccare lo smalto. All’inizio sembra facile, soprattutto se spazzoli con la mano destra sui quadranti di sinistra, ma poi ti rilassi e ti fai prendere dall’entusiasmo, e un po’ anche dalla smania di finire ed essere elogiato, e così premi troppo e infatti lo spazzolino vibra e lo schermo si accende di rosso, e tu allenti immediatamente la pressione, ma lo sai già che è tardi perché ormai il danno l’hai fatto e il tuo lavoro non sarà mai perfetto e sarai rimproverato, e mentre ti rammarichi ti distrai e premi di nuovo e lo spazzolino vibra e la luce rossa si accende, e arrivi in fondo con un misto di delusione per avere fallito, di sollievo per avere finito e di apprensione per il voto in arrivo.
Il responso giunge nell’istante in cui spegni il tuo Oral B. L’unica volta in cui sono stato bravissimo, l’app mi ha fatto i complimenti, ma con sobrietà come se da me se lo aspettasse un risultato così. Se sbaglio qualcosa, cioè quasi sempre, mi incoraggia e mi corregge con calma come un maestro saggio e comprensivo. Una notte, non so perché, a fine spazzolata sullo schermo è apparso il disegno di un gufo e la scritta: “Hai vinto una medaglia! A mezzanotte. La placca non dorme mai! Fagli vedere chi comanda spazzolando i denti tra mezzanotte e le 3:00 del mattino per 5 giorni”. Lì mi sono insospettito.
E’ che forse dipende da me. Sono sempre stato un tipo educato con le macchine. Rispondo “Anche a lei, non si preoccupi” alle signorine dei caselli automatici dell’autostrada che mi augurano “Buon viaggio, guidi con prudenza”. E ci rimango un po’ male quando il risponditore dei radiotaxi mi dice secco: “Riagganci per confermare”. Ma come? Nemmeno un saluto? Se mi innervosisco con il navigatore della mia auto è perché mi chiede di dire frasi in un italiano che non esiste: “Andare all’indirizzo… Immettere destinazione…”. E non uso Siri e Alexa, forse per paura di innamorarmi. Ma è una debolezza che fino a oggi ho tenuto a bada. Le cose hanno cominciato ad andare male quando mi sono messo in casa l’Oral B. Ho sviluppato manie di persecuzione: penso che lo spazzolino sia in combutta con il mio dentista e mi faccia venire le carie. La rivolta delle macchine, d’altronde, è stata prevista in decine di film, dal “Mondo dei robot” con Yul Brynner, alla follia di Hal in “Odissea 2001” fino a “Christine la macchina infernale” di Jonh Carpenter. Quello che è stato previsto di meno è il nostro bisogno di consolazione. Se le macchine non si arrabbiano è perché, per dominarci, puntano sul rinforzo positivo.
Da cinque giorni resto sveglio ogni notte fino alle due del mattino per spazzolarmi i denti all’ora giusta e guadagnarmi un’altra medaglia col gufo. Non ci riesco mai, ho troppo sonno e ogni volta spingo troppo e l’app se ne accorge e si accende di rosso. Ieri notte ci ho provato per tre volte di seguito e infatti in questo momento, mentre scrivo, ho i denti bianchissimi. Ma ho sempre fallito. Alla fine mi sono fatto coraggio e ho deciso di provocarla, spiaccicandomi le setole sui denti per 60 secondi su 120. Ma la l’app non si è scomposta, ha preferito fare finta di niente: “Proteggi le tue gengive!”, mi ha detto, “Prova a spazzolare più delicatamente la prossima volta”. Ci sono rimasto malissimo. Avrei preferito farla arrabbiare. Quella freddezza significa che in fondo non le interessa niente di me.
generazione ansiosa