Cosa accade a un mondo senza bambini?
Per molti anni è sembrato che la sovrappopolazione fosse la crisi incombente della nostra epoca. Previsioni che si sono rivelate false. “Al posto dei vagiti ora c’è solo silenzio”. Intervista a Cal Flyn sulla nostra Nomadland
A Capracotta, un piccolo comune nel Molise, un cartello in lettere rosse su un edificio in pietra del XVIII secolo che guarda gli Appennini recita: “Scuola materna”. Ma adesso, racconta il New York Times in un lungo e devastante articolo di due giorni fa, l’edificio è stato trasformato in una casa di cura. “C’erano tante famiglie, tanti bambini”, dice Concetta D’Andrea, 93 anni, che è stata allieva e insegnante della scuola e ora è residente dell’ospizio. “Ora non c’è più nessuno”. La popolazione di Capracotta è drammaticamente invecchiata e si è contratta, da 5.000 persone a 800. “A circa mezz’ora di distanza, nella città di Agnone, il reparto maternità ha chiuso una decina di anni fa perché aveva meno di cinquecento nascite all’anno, il minimo nazionale per rimanere aperto. Quest’anno, sei bambini sono nati ad Agnone. ‘Una volta si poteva sentire il pianto dei bambini nella nursery, ed era come una musica’, ha detto Enrica Sciullo, un’infermiera che aiutava nelle nascite e che ora si occupa dei pazienti più anziani. ‘Ora c’è silenzio e una sensazione di vuoto’”. Di questo vuoto, di cosa accade a un “paese che scompare” come Mario Draghi ha definito l’Italia del futuro ai recenti Stati generali della natalità, si occupa in un libro la giornalista Cal Flyn, “Islands of abandonment”. Sottotitolo: “La vita in un paesaggio postumano”. Flyn ha girato mezzo mondo per vedere cosa accade a una società quando la vita umana si ritira e si contrae.
Per molti anni è sembrato che la sovrappopolazione fosse la crisi incombente della nostra epoca. “Già nel 1968, i biologi di Stanford Paul e Anne Ehrlich predissero in maniera infame che milioni di persone sarebbero presto morte di fame nel loro libro bestseller ‘The Population Bomb’ e da allora i brontolii neo malthusiani di imminenti disastri sono stati un continuo ritornello in alcune sezioni del movimento ambientalista, paure che di recente hanno trovato voce nel documentario di David Attenborough ‘A Life on our Planet’”, spiega Flyn al Foglio. Quelle previsioni si sono rivelate false.
Nei giorni scorsi è arrivato l’annuncio del nostro ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi: “Nei prossimi dieci anni avremo un milione e 400 mila ragazzi in meno”. Vuol dire che una città come Milano, ma abitata solo da under trenta, svanirà nel nulla. Se mettiamo assieme Roma, Torino, Palermo e Napoli troviamo quello che perderemo entro il 2065 secondo l’Istat: sei milioni di italiani. E ci saranno 2,1 milioni di italiani in meno già nel 2025. E se poi vogliamo affacciarci ancora più avanti nel futuro c’è uno studio della rivista medica Lancet: “L’Italia si dimezzerà nel 2100”. Trenta milioni di italiani in meno.
In Corea del sud, il tasso di natalità è sceso a 0,84 per donna, un minimo storico nonostante gli ampi sforzi del governo per promuovere le nascite. Il tasso di fertilità sta diminuendo drasticamente anche in Inghilterra e Galles, da 1,9 figli per donna nel 2012 a soli 1,65 nel 2019. Lancet prevede che ventitré paesi vedranno la propria popolazione più che dimezzarsi prima della fine di questo secolo, tra cui Spagna, Italia e Ucraina. Anche la Cina subirà un massiccio calo della popolazione nei prossimi anni, del 48 per cento stimato entro il 2100.
Ma che aspetto assume il declino della popolazione sul campo? “L’esperienza del Giappone, un paese che mostra questa tendenza da più di un decennio, potrebbe offrire qualche spunto” dice Flyn. “Ci sono già troppo poche persone per riempire tutte le case: una casa su otto in Giappone ora è vuota. Chiamano questi edifici vuoti ‘akiya’: case fantasma. Con la popolazione che dovrebbe scendere da 127 milioni a cento milioni o anche meno entro il 2049, le ‘akiya’ sono destinate a crescere sempre più e si prevede che rappresenteranno un terzo di tutto il patrimonio immobiliare giapponese entro il 2033”.
In Europa, dice Flyn, “un’area delle dimensioni dell’Italia dovrebbe essere abbandonata entro il 2030. La Spagna è tra i paesi europei che dovrebbero perdere più della metà della loro popolazione entro il 2100; già tre quarti dei comuni spagnoli sono in declino. La pittoresca Galizia e Castilla e León sono tra le regioni più colpite, poiché interi insediamenti si sono gradualmente svuotati dei loro residenti. Più di tremila villaggi fantasma infestano ora le colline, in vari stati di abbandono”. Nel 2016 un rapporto di Lega Ambiente rivelò che anche un terzo dei villaggi e borghi italiani scomparirà a causa del cambiamento demografico.
Come in Giappone, in Spagna la natura sta già tornando. “Secondo José Benayas, professore di Ecologia presso l’Università di Alcalá di Madrid, le foreste spagnole sono triplicate in superficie dal 1900, espandendosi dall’8 al 25 per cento del territorio man mano che il terreno non viene lavorato. Un orso bruno è stato avvistato in Galizia lo scorso anno per la prima volta in 150 anni”. In molte parti d’Europa stiamo assistendo a enormi cambiamenti demografici. “La popolazione sta invecchiando e molti giovani si stanno trasferendo nelle città” dice Flyn. “L’effetto è lo spopolamento rurale e, quando ciò accade su scala sufficientemente ampia, vediamo villaggi e comunità abbandonati. E’ triste, ma ha anche dei vantaggi ecologici. Linci e orsi bruni hanno registrato un aumento della popolazione in tutta l’Europa continentale. In Italia, l’abbandono dei terreni agricoli ha portato a un rapido rimboschimento in alcune regioni: il Molise ha visto aumentare la copertura boschiva del 17 per cento dal 2005; la Sicilia, del 16 e la Basilicata dell’11. Questa trasformazione può essere sorprendentemente rapida”. C’è un paese che sta fisicamente morendo. Si prevede che la popolazione dell’Estonia scenderà da 1,3 milioni nel 2020 a 1,2 milioni nel 2050, con un calo del 12,7 per cento. “Ho visitato l’Estonia per vedere come le foreste stanno ricrescendo su ex terreni agricoli collettivi dal crollo dell’Urss. In breve, il sistema agricolo sovietico combinava piccole aziende agricole a conduzione familiare a gigantesche imprese statali. Dopo il crollo, il terreno è finito in disuso. Di conseguenza, la copertura arborea in Estonia è aumentata rapidamente: dal 21 per cento del paese nel 1920 al 54 per cento del paese del 2010, guadagnando in tutto circa cinquecentomila ettari di foresta dalla caduta dell’Unione sovietica. L’Estonia è ora uno dei paesi più boscosi d’Europa e il 90 per cento di quella foresta si è ‘rigenerata naturalmente’. Ci sono stati almeno dieci milioni di ettari di ricrescita forestale solo nell’Europa orientale e nella Russia europea. Dove mi trovavo, nell’Estonia settentrionale e centrale, queste nuove foreste sembrano ancora incompiute, irregolari e un miscuglio di specie diverse”. L’ex Ddr sta letteralmente “scomparendo”. “Sì, si prevede che molte regioni della Germania orientale perderanno tra il 10 e il 25 per cento della popolazione entro il 2035”. Il Giappone, dicevamo. “Si prevede che un terzo di tutto il patrimonio abitativo sarà vacante entro il 2033 e molte scuole stanno già chiudendo a causa della mancanza di bambini. Nel 1958 c’erano 13,4 milioni di bambini giapponesi nelle scuole elementari, scesi a 6,77 milioni nel 2011, e continua a diminuire. Esistono programmi che offrono gratuitamente case sfitte alle famiglie se sono disposte a trasferirsi in campagna”.
Hoyerswerda, una città dell’ex Ddr a due ore da Dresda, vicino al confine con la Polonia, ha perso la metà della sua popolazione negli ultimi vent’anni. Si tratta di una città fantasma invecchiata. I giovani se ne sono andati. La popolazione da 70 mila è passata a 32 mila. Dei 22 mila appartamenti, settemila sono stati distrutti. Hoyerswerda sembra una città senza scopo, in un angolo di Europa senza futuro. La classica piramide della popolazione a Hoyerswerda si è rovesciata e assomiglia a un fungo atomico.
Che il sogno dei neo malthusiani non si sia avverato?