L'Italia ritrovata in un matrimonio di campagna
Belle facce, la tradizione, l’ilarità diffusa che mortificava le tristizie dei mesi trascorsi. Ho incontrato di nuovo la leggera grandezza degli italiani
Ho incontrato di nuovo la potenza ineffabile degli italiani, direi la loro leggera grandezza, nel corso di un magnifico matrimonio di campagna. Non è cambiato niente. Tutto come prima, con dolce e trascinante entusiasmo. La cerimonia, messa e ricevimento, era abbracciata e baciata dal sole e dal caldo ventilato di fine maggio. Tecnicamente, era ancora un assembramento illegale. Ma la norma se ne stava di lato, non era stata invitata, la si trasgrediva con sornione scetticismo, con moderate cautele, questione di giorni: qualche stretta di mano, qualche baciamano, abbracci rari e festosi, tutto tranne la messa nuziale era all’aperto, tutto sembrava sfuggire con naturalezza la molestia e il pericolo virale di un anno e mezzo di semireclusione, di affanni, di premure e di luttuose paure.
Le belle facce, con mascherine andanti e alla fine ormai sfuggenti, l’impeccabilità della tradizione, degli abiti, il pranzo en plein air, il ballo accennato sul prato, le conversazioni, l’ilarità diffusa che mortificava, con la galanteria e lo scherzo, le tristizie dei mesi trascorsi: tutto faceva pensare che ne siamo appena fuori, e forse si ricomincia davvero. Sulla grande istituzione fondata sull’illusione aleggiava l’illusione al quadrato, “esponenziale”, per dirla con un aggettivo entrato nella moda statistico-scientifica del lockdown. Circolava, chissà, il sospetto sul futuro, sul mondo ancora prigioniero, sulla derelizione di chi ancora non ce la fa, ma tra fiorellini di campo, ortensie blu, padiglione ombreggiato, vini e cibarie, sposi e testimoni, prevaleva il calmo furore di rivivere di un paesaggio profondamente italiano. La gente in fattoria si è stufata del parlar virologo, alla grande paura e tragedia oppone un passo di lato, si viaggia e si raggiunge il luogo dell’invito, i vaccini risaltano come un nuovo, incantato prodigio dell’umanità, la ripresa è scandita da una discreta ma percepibile allegria generale.
Il matrimonio è certo un suggello speciale della felicità promessa, richiede apertura e slancio, eppure anche la scuola, il lavoro, la grande ricreazione della vita di relazione non distanziata, il business, l’idea di una discesa verso la vecchia misura personale, presente, affettiva, mordace e pugnace, dell’umanità, tutto questo fa capolino in molti modi che si chiamano estate incipiente, ristoranti e bar al chiuso e all’aria aperta, ottimismo e dimenticanza di tutto quel peggio che sembrava non dover passare mai. Muoversi liberi, costruire occasioni, incontrarsi staccati da una routine imposta, sembra niente, ma è tutto. Al matrimonio di campagna c’erano frotte di giovani uomini e donne, qualche bambino e i vecchi, e tutti erano, tutti insieme come mai da molto tempo, esattamente quello che sarebbero stati prima. Essere antichi, tra suoni e bisbigli di una natura antica, vivere in un paese che la sa lunga e non la beve facilmente, spinge verso una saggezza ricostruttiva che è stata possibile per via di una disciplina alla quale nessuno era più abituato. Andrà come andrà, e si deve fare molta attenzione, ma quei riti sponsali e d’amicizia parlavano di un’Italia, Mario Draghi consule, che ha ritrovato il genio protettivo del suo scetticismo e della sua estroversione. Eravamo in un focolaio potenziale, ma finalmente, e per una volta virtuosamente, senza volerne sapere.
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