Un amore tra pm illumina l'altro lato dei tribunali: il romanticismo
Soltanto in magistratura avviene ancora che due amanti non possano lavorare assieme
Che i tribunali siano luoghi di disperato romanticismo lo abbiamo scritto più d’una volta su questo giornale, riportando ragguardevoli storie di divorziandi innamoratisi delle proprie assistite, servendocene per dire che laddove si fa la giustizia si fa pure l’amore, perché non è vero che l’amore è ingiusto, baro, cieco eccetera eccetera. Vogliamo la parità ed è quindi ovvio, o almeno logico, che dove la legge è uguale per tutti ci si senta al sicuro: la sicurezza è condizione determinante per l’innamorato contemporaneo, il quale se proprio deve rinunciare al divano tutto per sé lo fa a patto che la sua percentuale di rischio rasenti lo zero.
Mara Carfagna ha detto che l’assoluzione dell’ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, rivela che il nostro sistema giudiziario è migliore di quello che diciamo: se consentite, le coppie che in seno a esso si consolidano o nascono non fanno che rafforzare la ragione che Carfagna ha.
E del romanticismo abbiamo detto.
Ora diciamo della disperazione: soltanto nei tribunali avviene ancora che due amanti non possano derogare alla ragion di stato – e dire che la magistratura non brilla in fatto di separazione delle carriere. Le cronache son piene di pubblici ministeri che, quando il cuore si mette di mezzo, abbandonano gli incarichi per motivi di opportunità, deontologia, conflitto d’interesse – dove altro succede?
Ieri, Libero ha raccontato una storia di questo ceppo narrativo, titolata così: “Roma, pm lascia la procura per amore”. I fatti: il magistrato Nunzia D’Elia ha rinunciato al suo incarico presso la procura di Roma, trasferendosi alla procura generale della Corte d’appello, perché si è ritrovata collega d’ufficio di suo marito, Stefano Pesci, anche lui magistrato, assegnato alla procura di Roma dal Csm, cosa che ha fatto storcere qualche naso e fatto scrivere qualche sms che Libero elegantemente riporta – signori, quando vi rode e/o cercate sostanze stupefacenti, usate Telegram, non WhatsApp, per carità. Tralasciamo gli stratificati retroscena, che a Libero hanno fatto scrivere: “Il trasferimento repentino della dottoressa D’Elia potrebbe, forse, spiegarsi in questo modo: evitare che la nomina del marito venga annullata. Un sacrificio, si direbbe, dettato dall’amore”.
Splendida lettura. Visto e considerato però che D’Elia avrebbe comunque dovuto lasciare l’incarico entro un anno, e visto il levarsi di maschi carrieristi che, quando s’inviperiscono, adottano contromisure non limitate all’invettiva, suggeriamo che ella possa aver pensato: chi me lo fa fare, quante rughe mi costerà questa coabitazione? Via via via da queste onde.
I tempi sono quelli che sono e il passo indietro, se compiuto da una signora, è visto come resa al dettame patriarcale. Tuttavia, non dovremmo sottostimare l’abilità (skill?) del lasciare che a far la lotta nel fango siano lorsignori, dando agli ingenui ragione di credere di farlo per amore.
Non sempre la libertà è partecipazione: talvolta, chi è libero s’astiene e sì, indietreggia.
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