“Stonewall rischia tutto ciò per cui ha combattuto accusando coloro che non sono d’accordo di incitamento all’odio”, scrive Sonia Sodha sul Guardian, il quotidiano-faro della sinistra inglese. Stonewall è il più famoso ente Lgbt del Regno Unito e sta crollando. Prima la Commissione per l’uguaglianza ha troncato ogni rapporto perché, in nome del transgender, Stonewall ha censurato e ostracizzato non poche femministe critiche dell’identità di genere. A maggio, quaranta attiviste per la libertà di parola hanno scritto al Times, denunciando che dozzine di donne hanno subìto azioni disciplinari sul lavoro per aver messo in discussione il gender. Le attiviste affermano che i datori di lavoro di un quarto dei lavoratori britannici si sono iscritti al programma “Diversity Champions” gestito da Stonewall. Significa che se le persone mettono in dubbio ciò che gli attivisti chiamano “legge di Stonewall” – secondo cui “le donne trans sono donne” – rischiano la sanzione. Poi, in un clamoroso mea culpa sul Times, Matthew Parris, uno dei fondatori di Stonewall, ha scritto che la società non è più intollerante e che non ci sono più ragioni per sentirsi vittime. Ma oggi, dice Parris, “Stonewall ha perso la sua strada. Il sole che tutti pensavamo di aver visto si è perso dietro nuvole di rabbia, intolleranza e partigianeria”.
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