Sognare, dormire, forse. Le mille e una notte della pandemia
Ascoltando l’inconscio (ma anche no). Parlano lo psicanalista Massimo Ammaniti e il neurologo Giuseppe Plazzi
L’anno scorso, i primi segnali dell’impatto psichico della pandemia e del lockdown provammo a inferirli, o almeno misurarli, dalla nostra attività onirica. Vennero fuori molti studi, diverse analisi e gruppi di ascolto e racconto che, sui social, raccolsero i sogni di tanti: erano soprattutto incubi, naturalmente. Sparivano i cieli, gli alberi, il mare, le cadute, i voli: ovunque c’erano muri, scale, scantinati, corridoi. Sognavamo il passato: il primo fidanzato, i nonni, le città com’erano quando eravamo piccoli. Un lettore di questo giornale ci aveva raccontato di aver sognato Paolo Sorrentino che citofonava a casa sua e gli chiedeva il permesso di girare “La grande bellezza” nel suo salotto. Era sparito il futuro. Per questo, avevamo smesso di indagare i sogni alla ricerca di una premonizione e, invece, avevamo cominciato ad analizzarli come qualcosa che, assai probabilmente sono: un taccuino. L’attività onirica, nei momenti di costrizione e incertezza, diventa intuitiva, fotografica e rivelatoria. Quello che non notiamo durante la veglia, viene annotato nel nostro inconscio, che poi ce lo ripropone quando sogniamo.
Charlotte Beradt, nell’introduzione a un libro su cosa sognavano i cittadini che vivevano in dittatura, “Il Terzo Reich dei sogni”, scrisse: “Questi sogni sono stati dettati dalla dittatura ai loro autori”. Di questo libro, l’anno scorso, si parlò parecchio. C’era qualcosa della pandemia, dei giorni tutti uguali che in molti credevano fossero giorni non vissuti, che abbiamo visto soltanto nei sogni. E forse è per questo che, oggi, il dottor Massimo Ammaniti, neuropsichiatra e psicanalista, racconta di aver notato, per prima cosa in questo anno e mezzo, quanto è cresciuta la distanza tra i sognatori e quelli che lui chiama i trincerati, ovverosia coloro che non solo non prestano alcuna attenzione alla dimensione onirica, ma la rifuggono più che possono. Paradossalmente, in quest’ottica, gli scettici che non riconoscono ai sogni che un orizzonte casuale, sono quelli che li hanno rifiutati con più vigore.
Dice Ammaniti al Foglio: “In alcuni, le restrizioni hanno accentuato la postura difensiva personale. E’ successo che, per paura di perdere il controllo su di sé, in una situazione già di suo piuttosto indomabile e incerta, queste persone abbiano più o meno consapevolmente evitato di ascoltare il proprio inconscio e anche di vedere la realtà intorno”. Scriveva la settimana scorsa la Bbc che in molti cominciano a sognare di vivere in un pianeta pulito, risanato, limpido, niente plastica, cielo terso, fresco alpino. “Ultimamente, ho notato che molti pazienti sognano grandi spazi, piazze, boschi, sci nautico, voli. Uno mi ha raccontato di aver sognato di trovarsi in aereo di fianco a Elon Musk: evidentemente, al desiderio di riprendere la nostra vita di prima, si affianca anche il terrore che non sia sicuro farlo e quindi si cerca una figura rassicurante. Elon Musk, in quel sogno, rappresenta la garanzia di una macchina che non si ferma”, dice Ammaniti. Il post Covid ha creato un altro discrimine tra chi desidera riavere tutto com’era, cancellando quello che è successo come se non fosse mai avvenuto, perché lo considera una parentesi esclusivamente negativa, e chi, invece, ha scoperto la propria vulnerabilità e intende ascoltarla.
Sull’universo onirico influisce ovviamente la qualità del sonno, che è stata compromessa in modo significativo nelle prime settimane del lockdown e continua a risentire di una mancata stabilizzazione. Il professor Giuseppe Plazzi, neurologo e direttore del Centro per lo studio e la cura dei disturbi del sonno presso l’Università di Bologna, dice al Foglio che nell’ultimo anno e mezzo è aumentata l’insonnia anche in chi avrebbe potuto dormire di più perché i sincronizzatori esterni del sonno, la luce e il buio, e quelli sociali, i ritmi lavorativi e associativi, sono quasi del tutto saltati. “Tutti si sono adattati nel modo peggiore e senza alcuna regola alla vita da reclusi. Tra i vari studi pubblicati negli ultimi mesi, uno dei più recenti, realizzato da Icos, rileva che i disturbi del sonno in epoca pandemica sono influenzati e causati non soltanto dalla cattiva igiene del sonno, ma pure dall’ansia, dalle preoccupazioni economiche e dalla mancanza, di fatto, di un piano, di un progetto concreto per il futuro e per la ripresa”.
A inquinare il sonno ci hanno pensato anche i cellulari, i tablet, e tutti i device che usiamo: sono tutti strumenti che, se usati di notte o di sera, hanno un effetto risvegliante e quindi posticipano il riposo, che invece deve avvenire nelle ore notturne. Dice Plazzi: “Soltanto di notte il sonno consente di avere un riposo del corpo che sia sincronizzato a quello ormonale e cardiovascolare. Dormire di giorno significa dormire molto peggio, risposarsi di meno, e questo è stato dimostrato che ha ripercussioni sul sistema cardiovascolare, affatica il cervello e, secondo alcuni dati, potrebbe persino avere un effetto promotore della demenza”. La sottovalutiamo, ma l’igiene del sonno è fondamentale per la salute psichica e per quella fisica: “I disturbi dell’umore, strettamente connessi a quelli del sonno, in questo periodo hanno portato a un incremento delle tendenze suicidarie. E’ azzardato sostenere che questo aumento sia direttamente connesso alla pandemia, ma che esso sia avvenuto in questo ultimo anno è mezzo è un dato di fatto che va analizzato”.
Ne usciremo? “Per farlo, dobbiamo ricominciare a uscire: le nostre case non sono fatte per muoversi e mancano anche di sedie, così che abbiamo trascorso mesi e mesi sdraiati in pessime posizioni, cosa che ha peggiorato la nostra forma fisica e quindi anche quella psicologica. Si è trattato di una forma di somatizzazione parecchio condizionante”.
generazione ansiosa