Dove sono gli indignati? La storia di Mila, il nostro naufragio
Una minorenne omosessuale viene sommersa dalla più grande campagna di bullismo social che si ricordi (100 mila minacce e insulti in un anno e mezzo) che la costringe a cambiare scuola per ben due volte. Messa così, ci si sarebbe aspettati una mobilitazione politica trasversale, fiumi di inchiostro sui giornali, picchetti degli indignados e di chi ha a cuore i più deboli. Ma l’istinto del gregge è quello che ha mostrato William Golding nel suo romanzo “Il signore delle mosche”, dove i bambini finiscono per uccidere uno di loro.
Perché la storia di Mila “è il simbolo del naufragio del pensiero e dell'azione democratica”, come l’ha definita Jean-Pierre Sakoun, saggista e presidente del Comité Laïcité République, nel suo editoriale su Marianne. Mila è sì una studentessa minorenne lesbica, ma ha “offeso” l’islam nei suoi canali social. “Sono destinata a non restare in vita”, ha detto in televisione. L’affaire è un concentrato dei nostri mali. Eppure, come diceva Leo Strauss, “se tutte le culture sono uguali, l’antropofagia è solo una questione di gusti”.
“Chi oggi, nelle strade, nelle redazioni, nelle scuole, nei caffè, nei teatri, sulla Promenade des Anglais, viene assassinato dai teppisti fascisti? Gli estremisti fondamentalisti e radicali dell'Islam, o le loro vittime ebree, cattolici o semplicemente cittadini del loro paese laico? Quanti morti, quanti feriti, quanti attacchi di teppisti che brandiscono l'islam come ragione ultima della loro azione?”. Sakoun spiega che nella Germania degli anni Venti i nazisti installarono il loro potere attraverso il terrore, “facendo affidamento sulla comune codardia. Le nuove SA, il nuovo sottoproletariato a disposizione dei nuovi fascisti, sono questi giovani islamisti fanatici degli imprenditori dell'odio, la cui violenza è illimitata”. L’ultimo bersaglio è Mila. “Dal 2012 i morti, i feriti e i traumatizzati del fascismo islamista si sono accumulati e coloro che non muoiono sono, come gli Iloti, separati dal mondo dei vivi, reclusi, sottoposti alla costante minaccia di morte violenta, arbitraria e barbara. I loro carnefici si pavoneggiano impunemente. Ricevono richiami alla legge, al servizio civile o alle pene detentive, la cui ridicola clemenza li fa ridere a crepapelle”.
Mila non ha una storia come i vignettisti di Charlie Hebdo impegnati nel rivendicare il diritto alla libertà di espressione. Non ha la verve di un polemista che indica ogni giorno il rimpiazzo come Eric Zemmour. Non ha la profondità di intellettuali che studiano l’“identità infelice” del proprio paese come Pierre Manent o Alain Finkielkraut. Mila è una semplice ragazza come tante, che ama postare video di sé sui social, che si tinge i capelli ogni giorno di un colore diverso e che se non fosse stato per questa storia tragica sarebbe stata una delle tante giovanissime woke inclusive e Lgbt.
Per questo la sua storia è tanto più importante. Il caso Mila, in sostanza, mette in mostra il passaggio dall’universalismo al multiculturalismo avvenuto senza dibattito. E ci dice del livello di odio e paura che ha sommerso molte società europee. Il libro di Mila, il prezzo della nostra libertà di cui pubblichiamo un ampio estratto in una esclusiva italiana, è il testamento di questo naufragio in cui rischiamo di affondare tutti, ci piaccia o meno quello che ha detto su Instagram.
Se oggi stiamo zitti per paura, domani sarà per abitudine e dopodomani per dovere.