Je suis Mila. E voi?
Il linciaggio e l'indifferenza. “Costretta a cambiare liceo perché avevo mancato di rispetto a un personaggio di fantasia, mentre i fanatici continuavano a vivere nella calma più totale, benché avessero minacciato di decapitarmi”
Maggiorenne da poco, è minacciata di morte e di stupro dai fanatici islamisti da quando ha 16 anni. L’incredibile storia, nel silenzio delle femministe, della liceale omosessuale francese costretta a vivere sotto protezione nella terra dell’Illuminismo e della laicità. Un racconto esclusivo
Mila è la ragazza francese che il 18 gennaio 2020, quando aveva 16 anni, ha postato su Instagram un video contro l’islam e si è vista poi travolta da migliaia di insulti e minacce di morte. Mila ha dovuto lasciare la scuola e vive da allora sotto scorta. Mercoledì scorso è uscito in Francia il suo libro-testimonianza, “Je suis le prix de votre liberté” (Grasset), di cui pubblichiamo in esclusiva per l’Italia alcune pagine.
Quando leggerete queste righe, non so se sarò ancora viva. Inizia una nuova giornata. E con essa, nuove minacce sommergono il mio telefono. “Non ti sei ancora suicidata? Quando riuscirò a prenderti, ti stuprerò e ti sgozzerò assieme a quella puttana di tua madre. Sporca cagna”. Apro le imposte della mia camera. Ieri sera sono scoppiata a piangere. Talvolta, sento mancare l’orgoglio che fino ad ora mi ha permesso di tenere la testa alta. Mi chiedo se ho ancora la forza di battermi e di vivere, o se semplicemente è ciò che tento di far credere. Lì fuori, il cuore del mondo continua a battere. Il mio invece si è preso una pausa. Rinchiusa tra quattro mura, scendo a fare colazione. I miei genitori preparano un caffè ai gendarmi appostati davanti alla nostra casa prima di andare a lavorare. Io resto sola e scrivo. Questo libro è l’unico modo per spezzare la mia prigionia. Riuscirò ad arrivare alla fine? Mi hanno già portato via tante cose. Ero una ragazza felice e piena di vita. Uscivo di giorno e di notte, le persone mi apprezzavano. Mi è sempre piaciuto inventare storie, creare mondi fantastici in cui far evolvere i miei personaggi, ispirandomi talvolta alla vita reale. Luoghi, avventure magiche, misteri, emozioni… Immaginavo che il mio primo libro sarebbe stato un romanzo più che una testimonianza, anche se molti mi affibbiano aggettivi tratti dai miti dandomi della strega.
Probabilmente, avete sentito parlare di me. Mi chiamo Mila, sono maggiorenne da poco, e sono minacciata di morte e di stupro da quando ho sedici anni per aver pubblicamente, dicono, insultato l’islam. Sono vostra figlia, vostra nipote, vostra cugina. La vostra compagna di scuola. Quella che odiate. Una ragazzaccia maleducata. La vostra nemica giurata. Una povera ragazza. O un’amica. Un’adolescente come un’altra. Una giovane ragazza coraggiosa. Mio malgrado, porto sulle mie spalle la battaglia che un intero paese dovrebbe combattere. Quella per la libertà d’espressione.
Dover sopportare un tale peso alla mia età è spaventoso. Sono abbandonata da una nazione fragile e codarda. Vi devo raccontare cosa significa avere diciassette anni, ricevere ogni giorno messaggi che mi promettono i tormenti di una morte violenta, l’acido sul volto, sgozzamenti, squartamenti, decapitazioni, stupri seriali, smembramenti, come ci si sente a non essere più liberi e a essere incarcerati a casa propria con la minaccia che aleggia. Spesso mi viene detto che ho meritato tutto questo, che avrei dovuto aspettarmelo. Alcuni pensano che questo libro permetterà di calmare la situazione e di risvegliare le coscienze (…).
Sabato 18 gennaio 2020, lancio una diretta su Instagram. I venti abbonati presenti in quel momento scrivono alcuni commenti e iniziamo a comunicare così. Uno di loro comincia a provarci con me in maniera pesante. Lo ignoro. Un altro mi chiede qual è il mio genere di ragazza. “Hai una preferenza per le bianche, le arabe o le nere?”. Rispondo semplicemente che le arabe e le nere non sono il mio genere e non mi attirano fisicamente. Lo dico senza riflettere, come avrei potuto dire che le bionde o le donne con gli occhiali non sono il mio stile. Il ragazzo che ci provava con me pochi minuti prima comincia a dirmi che sono razzista, poi a insultarmi in nome di Allah. Gli rispondo che insultarmi in nome di una religione è puerile. Include allora nella diretta alcuni suoi amici, che a loro volta cominciano a insultarmi. “Sporca lesbica, andiamo a scoparci tua madre wallah”, “Che Allah possa guidarti sporca puttana”, “Giuro sul Corano che ti vengo a pestare specie di transessuale”.
Decido di mettere fine alla diretta. Pochi minuti dopo, consultando il mio Instagram, scopro una decina di messaggi di utenti sconosciuti che mi minacciano di morte e di stupro, ancora una volta in nome di Allah. Nel giro di qualche minuto, sono diventata “razzista”, “islamofoba”, una “sporca bianca”, una “sporca francese”. Rimango sconvolta da quegli attacchi ingiusti e ignoranti. Mi rimetto su Instagram e faccio un breve story per esprimere il mio disgusto. E aggiungo: “La vostra religione è una merda. Al vostro dio metto un dito in culo”. Mi aspetto che alcuni utenti siano irritati. La marea si alza: commenti degradanti e insulti provenienti da alcune mie conoscenze e abbonati.
L’onda si scatena e si amplifica: le ingiurie diventano sempre più violente, il mio video viene condiviso su tutti i social network, ripreso da numerose persone in stato di collera, da account molto seguiti su Twitter. L’onda si infrange: le minacce di morte arrivano a migliaia. Sono sotto choc.
Scendo in salotto a raccontare ai miei genitori cosa sta succedendo. Sono sconcertata. Non capiscono. Vedrai che passerà, dicono, non bisogna dare troppa importanza alle minacce. Ma non è così. Più tardi, mia madre è occupata a riverniciare le persiane, la supplico di portarmi al più presto in gendarmeria per sporgere denuncia e segnalare le minacce che si moltiplicano ogni secondo su internet. Ma ancora una volta, non mi prende sul serio. Vuole finire di riverniciare le persiane. Quando però le mostro le minacce di morte, di stupro, di bruciature da acido sul volto da parte di numerose persone del mio liceo, accetta di portarmi in gendarmeria. Silenzio tombale durante il tragitto. L’agente che registra la nostra denuncia deve farsi aiutare da un collega. All’inizio, ho l’impressione di essere considerata coma una volgare adolescente, come una che fa un dramma per qualche parolaccia. Eppure, mostro il mio telefono, sul quale ogni secondo appaiono centinaia di messaggi di odio e pieni di minacce. L’agente non prende sul serio questo caso di persecuzione di cui non comprende la gravità e nemmeno i meccanismi. Sento di andare fuori di testa.
A partire da quel giorno, che ha segnato l’inizio dell’“affaire Mila”, sono stata vittima di un linciaggio sistematico ed esponenziale (…). “Non tornare Mila, ti picchieremo fino a farti sanguinare”. “Sporca puttana, se lunedì torni, morirai”. Ecco ciò che i miei compagni di classe che apprezzavo hanno scritto in un gruppo Snapchat. Ho visto il branco attivarsi, partecipare alla violenza e incitare a uccidere un’adolescente, in modo omogeneo, senza riflettere, in nome di una religione di amore e di pace. Gli araldi del sangue e dell’omicidio: ecco cos’erano diventati, nascosti dietro le loro buone intenzioni.
La mia ex ragazza, con cui ero rimasta in buoni rapporti, ha avuto nei miei confronti soltanto parole pungenti, senza dar prova di alcuna compassione. Frasi dettate forse dalla paura… “Non hai il diritto di dire ciò che hai detto. Ti meriti ciò che ti sta capitando, e anzi meriti molto peggio”. Amavo questa ragazza, e leggere queste parole mi ha fatto soffrire enormemente. L’ho vista allontanarsi per unirsi al branco assetato di violenza. Il mio primo amore mi voltava le spalle in un atto di estrema viltà.
Lunedì 20 gennaio 2020. Qualcuno ha telefonato alla preside fin dalla prima ora, facendosi passare per mio padre, per confermare che mi sarei presentata in classe. La scuola aveva già chiamato la gendarmeria per scortarmi e proteggermi dalla folla di studenti che si accumulavano davanti all’entrata. Mia madre aveva pensato di chiedere fin da sabato, in occasione della presentazione della prima denuncia, la presenza della gendarmeria davanti al liceo, poiché la portata delle minacce lasciava presagire che ci sarebbero stati dei disordini. Pochi giorni dopo, alcune voci hanno segnalato la mia presenza nell’ufficio amministrativo. Un’orda di studenti è piombata nella stanza sputando dappertutto e urlando che mi avrebbero decapitato. Continuo a chiedermi se oggi sarei ancora viva qualora fossi tornata nel mio liceo. Potevo dire addio alla mia vita precedente. Ero entrata in un incubo ad occhi aperti (…).
Ho chiuso i miei account sui social network. Era molto difficile affrontare questo accanimento. Sapere che, tra i miei abbonati, la maggior parte mi odiava e voleva vedermi morire. Sarei stata condannata nei mesi a venire a vivere nascosta e protetta dalle forze dell’ordine. Ero delusa. Peggio: avevo l’impressione di essere punita. Ed era proprio così. Sono stata costretta a cambiare liceo perché avevo mancato di rispetto a un personaggio di fantasia, mentre i fanatici e i loro cortigiani continuavano a vivere nella calma più totale, nonostante avessero minacciato di decapitarmi.
Il famoso principio di laicità: “Penso non sia altro che polvere per la mia generazione”. I fanatismi, religiosi e settari, che permeano la gioventù francese. “Tra le persone Lgbt, molte si definiscono prima come Lgbt e poi come esseri umani”. “Non posso non chiedermi quante vittime di questi orrori saranno ancora necessarie per vedervi reagire”
Basta non essere ciechi per rendersi conto fino a che punto il paese della libertà d’espressione stia perdendo qualsiasi credibilità. Penso anche che i valori che vengono attribuiti a questa società, come il famoso principio di laicità, non siano altro che polvere per la mia generazione. Forse la colpa è della scuola? Devo ammettere che non ho imparato nulla dai miei corsi di educazione morale e civica. Sapevo scrivere “laicità”, ma non sapevo definire la parola. E sono ben lungi dall’essere la sola. Non sapevo nemmeno cosa fosse la libertà di blasfemia né la libertà d’espressione. Quando ho postato quel video, non mi sono chiesta se fosse legale o no. Dare la mia opinione negativa su una religione senza prendermela direttamente con i credenti era per me assolutamente normale, e mai avrei immaginato che avrebbe generato così tanto odio, cattiveria e dibattito (…).
Diversi fanatismi permeano la gioventù francese, sia religiosi sia settari. Tra le persone Lgbt, molte si definiscono prima come Lgbt e poi come esseri umani. Io invece ho l’impressione di appartenere alla minoranza che si fa beffa dell’idea di far parte di una comunità e non ha bisogno di rivendicare la propria omosessualità. Trovo incoerente affermare di voler integrare e normalizzare le minoranze e allo stesso tempo inserire continuamente le persone all’interno di categorie. Sappiamo tutti che l’adolescenza è un passaggio della vita in cui ci si cerca e ci si costruisce. Ma dubito che le generazioni che ci hanno preceduto fossero concentrate a tal punto sulla loro identità. Noi siamo una generazione ripiegata sulla propria identità. A voi forse non fa paura, a me invece spaventa l’idea di crescere in un ambiente popolato da fanatici vari che preferiscono ampiamente partecipare a questa dittatura del pensiero e cambiare i nomi ogni settimana piuttosto che imparare a vivere in società e preoccuparsi del loro futuro (…).
In nome dell’appropriazione culturale, si raggiungono vette di assurdità. Un giorno, ho postato una foto di una donna bianca con delle trecce africane, ho detto che le volevo anch’io, e mi sono fatta insultare per appropriazione culturale. Un’altra volta, ho postato un video di una donna nera commentando “E’ magnifica”, e alcune persone mi hanno detto “Non hai il diritto di postare un video di una donna nera”. I giovani difendono alcune cause, in massa, altre invece no. Per esempio, non si parla abbastanza del razzismo che colpisce gli asiatici. Gli stessi che mi accusano di razzismo se la prendono in gruppo con un uomo asiatico in una strada di Lione, seguendolo per spintonarlo violentemente a più riprese, prima di allontanarsi urlando davanti ai passanti per umiliarlo. Questa scena è accaduta veramente, è una ragazza di Lione (che aveva tra l’altro contribuito enormemente alle intimidazioni contro di me) che ha filmato l’aggressione, da lei stessa commessa assieme ai suoi amici. Mi rattrista pensare che niente e nessuno potrà rendere giustizia a quell’uomo. “Sporco cinese, non toccarmi, hai il Covid!”.
Oggi, quelli che non sono bianchi sono qualificati o si qualificano da soli come “persone razzizzate”. Questo termine mi mette a disagio. La parola “razzizzata” indica una persona vittima di razzializzazione, ossia assegnata a una razza in ragione del colore della sua pelle. Il colmo è che sono spesso i militanti di Black Lives Matter a utilizzare questo termine. Fare i giustizieri e predicare l’uguaglianza per tutti isolandosi dagli altri significa semplicemente combattere la battaglia sbagliata. Faccio parte di una generazione che ama prendere di mira una preda contro cui scatenarsi. Da più di un anno a questa parte, si dà il caso che sia io questo capro espiatorio. E’ una meccanica di attrazione e repulsione. Alcuni continuano a seguirmi, a scrutare il minimo movimento, è un’ossessione, un ingranaggio d’odio. So perfettamente che questa faccenda li ha convinti che non rischiano niente prendendosela con una ragazza come me. Impotente, giovane e maldestra. Sono la persona che amano detestare (…).
Per quanto riguarda l’influenza crescente dell’islam in Francia, l’“oppressione” che alcuni nostri concittadini musulmani dicono di subire è il modo più “dolce” che possono utilizzare per far regnare la paura nella società. Ma come possono i musulmani dirsi o sentirsi oppressi in Francia? Qui si è liberi di credere o di non credere. Ci si può recare in un luogo di culto per praticare la propria religione. Charlie Hebdo è un settimanale satirico francese fondato nel 1970, conosciuto principalmente per le sue illustrazioni salaci, le sue caricature di personaggi politici, di personalità, di Maometto, di… Aspettate! Come? Mi spiace dirvi che numerosi musulmani si sono sentiti “offesi” da alcune caricature del loro profeta morto da più di un millennio. E che certo, il miglior modo per esprimere questo disaccordo fu, per alcuni, minacciare di morte i responsabili del giornale, per poi, una mattina del gennaio 2015, mettere in pratica quelle minacce. Certi musulmani radicali francesi, ancora oggi, vedono questo atto terroristico come una vittoria della loro comunità. Ciò che gli islamisti considerano come un’oppressione è un insieme di ostacoli – e per fortuna esistono questi ostacoli – alla loro espansione. Tutte le persone che si sono opposte all’islam radicale fino ad ora, che l’hanno criticato o che molto semplicemente hanno detto la verità, sono finite sotto scorta. E quelli che non hanno avuto la fortuna di esserlo sono morti, come Samuel Paty, professore di storia e geografia e di educazione morale e civica.
Venerdì 16 gennaio, sono rientrata a casa contenta, non so nemmeno perché. Mia madre stava guardando la televisione in cucina, con le lacrime agli occhi. Le ho chiesto cos’era successo, poi io stessa ho guardato i notiziari. Le immagini scorrevano senza sosta, e si susseguivano i discorsi dei giornalisti. I miei pensieri si sono bloccati, ero sotto choc. Ho pianto tutta la sera. Un domani, la testa che verrà trovata per terra potrebbe essere quella dei vostri figli, dei vostri amici, di vostra madre o di vostro fratello. Un solo “passo falso” e il vostro volto può essere sfigurato con l’acido. Potreste essere costretti a descolarizzare vostro figlio dalla sera alla mattina. È così facile lamentarsi con le braccia conserte. Mi sento impotente e non posso non chiedermi quante vittime di questi orrori saranno ancora necessarie per vedervi reagire.
Dal libro di Mila “Je suis le prix de votre liberté” , edito da Grasset e uscito il 16 giugno in Francia.
Traduzione di Mauro Zanon
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