Stop regali alla Cina. Parla il braccio destro di Timmermans
Ambiente e benessere. Intervista con Petriccione, volto chiave della Commissione europea sulle azioni per il clima
“In Europa abbiamo ridotto le emissioni di gas serra del 40 per cento per i settori inclusi nel sistema di emission trading (industria e generazione di energia), l'obiettivo del 2030 è ampiamente raggiungibile”. E' ottimista il direttore generale Mauro Petriccione, numero uno della struttura della Commissione europea incaricata di realizzare l’“Azione per il clima”. Petriccione, pugliese d’origine, a Bruxelles dal 1987, si è occupato per trent’anni di competitività in seno alla Dg Trade prima di diventare il braccio destro e sinistro del vicepresidente esecutivo della Commissione Frans Timmermans. Il prossimo 14 luglio la Commissione presenterà l’attesissimo pacchetto “Fit for 55” con dodici misure volte a centrare l’obiettivo della riduzione delle emissioni di gas serra del 55 percento entro il 2030.
A Petriccione domandiamo come il braccio esecutivo dell’Ue intenda tenere insieme transizione ecologica e sicurezza energetica. “Fino a dieci anni fa, si riteneva che esistesse una contrapposizione tra rinnovabili e sicurezza energetica, oggi si è compreso che esiste una totale convergenza. Un esempio: noi spendiamo 270 miliardi di euro all’anno per importare combustibili fossili, in altre parole bruciamo una montagna di soldi con l’effetto di danneggiare anche il clima. Sicurezza energetica vuol dire passare a fonti di energia di cui abbiamo pieno controllo perché o le produciamo autonomamente o conosciamo bene l’identità dei nostri fornitori. Sicurezza energetica significa potenziare la capacità di produzione propria e moltiplicare le fonti esterne di approvvigionamento”. Ma il pacchetto “Fit for 55” conterrà novità? “Rispetto alla versione del 2019 non ci saranno cambiamenti radicali di struttura ma un ‘upgrade’ qualitativo importante. Calcoliamo che, in termini di impatto netto sui posti di lavoro, la trasformazione ecologica sarà positiva. Sia chiaro però: non parliamo sempre degli stessi posti per le stesse persone ma avremo nuove occupazioni più stabili mentre altre spariranno e dovremo gestire la transizione in maniera equa. E poi, per la prima volta, approntiamo strumenti per mitigare il possibile disagio sociale provocato dalla trasformazione, per esempio in tema di povertà energetica. E’ importante investire nel rinnovo edilizio, nelle tecnologie verdi, nel sostegno all’acquisto privato di veicoli ecosostenibili”.
Lei ci dice che in Europa abbiamo tagliato le emissioni clima alteranti e inquinanti di circa il 40 per cento per industria ed energia: con vincoli e obblighi così stringenti c'è il rischio di penalizzare la competitività delle aziende europee a vantaggio di “big polluter” come la Cina? “Il rischio c’è, per questo le aziende europee vanno sostenute nella transizione: non solo nella fase di ricerca ma anche nella messa in applicazione delle tecnologie. Dai nostri calcoli, risulta che negli ultimi cinque anni l’industria e la produzione di energia hanno ridotto le emissioni del 40 per cento, globalmente siamo a meno 25 per cento. Il settore che procede più lentamente è quello dei trasporti. La quota di energia prodotta da rinnovabili è salita al 23 per cento, una soglia superiore all’obiettivo del 20. Ciò dimostra che, con tecnologie e consenso, le cose si possono fare”. Rimane lo squilibrio tra gli impegni europei e la condotta di giganti come Pechino. “Con previsioni di incremento fino a tre gradi della temperatura globale, qualcuno doveva pur cominciare: l’Europa ha dato il buon esempio. A livello europeo, il consenso popolare non manca: il 93 per cento dei cittadini chiede un’azione per il clima. La competitività delle nostre aziende è forte proprio perché abbiamo puntato sull’efficienza energetica, ora dobbiamo rinnovare il parco industriale con investimenti ingenti e un salto tecnologico per restare competitivi ma è anche l’occasione per passare a tecnologie pulite. Quanto alla Cina, anche loro si sono posti l’obiettivo ‘zero emissioni’ entro il 2060. Da cinque anni forniamo assistenza tecnica al governo cinese: Pechino ha lanciato un sistema di carbon pricing copiato dal nostro”.
Dal litio alle batterie ai pannelli fotovoltaici: il mercato europeo è troppo dipendente dall’import cinese? “Il vero problema non è la dipendenza in sé ma lo squilibrio. Essere totalmente dipendenti è pericoloso ma inseguire il mito autarchico non è ragionevole né fattibile. Un problema reale, per esempio, è dato dalla dipendenza eccessiva della nostra industria dai microchip prodotti nell’Asia dell’est. Avremo sempre bisogno di importazione ma non dobbiamo abbandonare alcuni settori”. Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha annunciato la creazione di un polo nazionale per la produzione di batterie. “E’ una buona idea: non fabbricheremo mai tutte le batterie di cui avremo bisogno ma dobbiamo puntare su una produzione europea per non essere completamente dipendenti dall’import”. Lei ci diceva che facciamo bene nelle rinnovabili, meno nei trasporti. “La trasformazione dell’automotive avverrà quando l’acquisto di un’auto elettrica sarà alla portata di tutti. La definizione del quadro regolamentare tocca a noi, la realizzazione dell’infrastruttura è compito degli stati, ai produttori di automobili dobbiamo fornire indicazioni chiare in modo da consentire loro di produrre vetture con costi sempre più abbordabili”.
Quando vedremo in Europa la prima auto alimentata a idrogeno? “Non so darle un orizzonte temporale. Giapponesi e coreani sono molto avanti, Toyota ne produce centomila all’anno”. Il biometano può essere una valida alternativa nell’attesa delle Tesla per tutti? “E’ una tecnologia di breve termine utile in una fase di transizione ma noi prevediamo entro il 2040 al più tardi nuove auto tutte a zero emissioni. Dal motore a combustione dobbiamo passare all’elettrico”. E sul dilemma tra idrogeno blu e verde? “Per noi l’idrogeno blu, in una fase transitoria, è un’opzione ragionevole, al pari del gas naturale. La domanda è: fino a quando? Nel 2050 dobbiamo assicurare che la nostra produzione di energia sia a emissioni zero”.
I costi sociali della transizione saranno dolorosi? “Ci saranno ricadute sociali, è inevitabile. Dovremmo parlare di più di ‘povertà energetica’: 37 milioni di europei già oggi non riescono a pagare la bolletta. Però anche i danni del cambiamento climatico ricadono soprattutto sulle fasce meno abbienti, con una minore capacità di adattamento. La transizione dev’essere giusta, per questo serve l’intervento dello stato”. Il Vp Timmermans si è battuto per l’acciaio verde nell’ex Ilva, e adesso nel Pnrr sono stanziati circa 2 miliardi per coniugare acciaio e idrogeno verde: sarà la volta buona? “Io sono nato e cresciuto a Taranto, ai tarantini non si può riproporre l’alternativa secca tra salute e lavoro. L’acciaio verde nella più grande acciaieria d’Europa non è fantascienza. In Puglia abbiamo portato il gas dal Nord Africa, sapremo realizzare anche l’idrogeno pulito”. Il Green Deal ha compiuto il miracolo: l’Ue, accusata spesso di muoversi in ordine sparso, sul tema ambientale ha trovato una inusitata convergenza. “La costruzione europea è nata da una crisi e funziona al meglio nei momenti di crisi. Dinanzi a un pericolo gli europei si ricompattano per un’azione comune. In situazione di calma, ognuno spesso va per conto suo. La questione climatica è una crisi vera, e i cittadini lo hanno compreso prima dei governanti e delle amministrazioni”.