Una colletta per salvare Malika dai messaggi d'odio dei suoi salvatori
Io faccio l'elemosina e tu giri in Mercedes? L'indignazione di chi ha partecipato alla raccolta fondi per la ragazza cacciata di casa ha almeno tre aspetti interessanti. Dal ricorso ai sussidi al moralismo, senza tralasciare la strumentalizzazione
Povera Malika, ne hanno voluto fare una buona causa. Una nuova Jessica Notaro da invitare agli eventi contro la violenza, il simbolo di una campagna civile, una bandiera arcobaleno. Malika è quella ragazza lesbica cacciata di casa dopo aver fatto coming out, finita a piangere e a raccontarsi in televisione e infine consegnata alla gogna social nello spazio temporale di qualche mese. Si può dire abbia bruciato le tappe della popolarità. Forse già oggi di questa storia non importa più a nessuno, ma ve la riassumo partendo dai soldi.
La cugina ha avviato una raccolta fondi che in poco tempo raggiunge circa 140 mila euro, che è un po’ più di quanto occorreva per aiutare Malika a “ricostruire il suo futuro” e pagare spese legali, vestiti e un posto in cui vivere. E nel suo futuro anziché psicologi, medicine e utilitarie scassate troviamo invece l’appartamento luminoso con balcone a Milano, un bulldog francese da 2.500 euro e la Mercedes (“per togliermi uno sfizio”, ha detto ingenuamente). È stata l’indagine della più nota moralizzatrice del giornalismo italiano, l’astuta e ben informata Selvaggia Lucarelli, a sollevare l’indignazione di chi s’è sentito tradito: io ti faccio l’elemosina e tu giri in Mercedes? Gente terrorizzata dall’ipotesi di dover pagare a Malika anche il bollo.
Ci sono almeno tre aspetti interessanti in questa vicenda, andiamo con ordine.
Malika incorpora due caratteristiche della nostra epoca: l’infantilizzazione e il vittimismo. Una ragazza di 22 anni che subisce un torto dalla vita è considerata una bambina a cui non puoi suggerire si trovi un lavoro, una casa e un posto nella società. Se hai la sfiga d’avere una madre degenere anziché una tipica madre chioccia avrai tutti dalla tua parte, e non ti resta che fare appello al senso di colpa collettivo. La raccolta fondi è la tipica risposta italiana a qualsiasi problema sociale che cada sotto la lente dell’empatia: mi spiace molto, ecco un sussidio. È bello sapere che c’è una rete fatta di persone pronte ad aiutarti, ma un regalo è sempre un ricatto.
Il secondo aspetto è l’accusa d’aver speso il denaro in modo improprio. Ma se fai una donazione a una sconosciuta per aiutarla a ricostruire il suo futuro non puoi veramente decidere come dev’essere il suo futuro. Quei soldi diventano suoi. La cifra continuava ad aumentare perché chi inviava denaro era felice di stare dalla parte della ragazza ferita. Stava dichiarando: io sto con questa visione del mondo. Rimane un atroce dubbio: in che modo la spesa per uno psicologo è più accettabile della spesa per un cane se per lei ha lo stesso effetto? Avrebbe potuto prendere un randagio, condividere una stanza doppia, donare tutto ai bambini africani con le mosche agli occhi, dicono. Avrebbe potuto anche pagarsi gli studi, diventare un medico, salvare delle vite. Ma quindi era voi che doveva fare felice. Gli italiani che s’indignano hanno la sindrome di Madre Teresa di Calcutta: se smetti di farmi pena mi rovini il piacere che ho provato nell’averti aiutato. La sfrattata in Mercedes è la nuova Maddalena.
Il terzo aspetto è la strumentalizzazione della faccenda. Tutti fin da subito si sono manipolati a vicenda. Essere vittime può diventare una professione remunerativa e non sorprende che Malika abbia assunto un ufficio stampa: la televisione cercava l’emozione, gli spettatori cercavano l’indignazione, i politici cercano un caso simbolo. Alessandro Zan aveva inizialmente commentato la vicenda così: “È chiaro che se una legge fosse già in vigore scatterebbero le aggravanti”. Malika ha accettato di diventare la portavoce dei disgraziati gay (“Spero di essere una delle portavoci all’altezza di sostenere questa battaglia contro le discriminazioni di genere”) e ora si ritrova a difendersi contro chi l’accusa d’aver gettato un’ombra sulla causa. Eppure il Ddl Zan era già implicitamente messo in discussione dalla felicità, quando dal nuovo appartamento e dalla nuova vita dichiarava: “Per me è come rinascere”. Se per risolvere i torti subiti sono bastate una raccolta fondi, un cane e un terrazzo significa che più che la Zan ti serve il reddito d’omofobia.
Carriera finita? Non sono un mago ma è improbabile, abbiamo la memoria corta, finché hai qualcosa da dire avrai qualcuno che ti segue, e poco importa se a intrattenerci prima era la sofferenza e ora è una polemica. L’attenzione è valore. Se impara a gestire la propria immagine e non viene scaricata dal mondo omosessuale potrà aspirare a lavorare in televisione (attenta però, ogni concorrente di reality sa bene che i soldi di un’ipotetica vittoria li deve donare…). Ma per il momento siamo nel bel mezzo di una crisi, e quindi occorre un tono conseguente: “Onestamente non mi aspettavo così tanta cattiveria, soprattutto da parte delle persone che prima mi hanno aiutata”. Ora chi avvia una colletta contro i messaggi d’odio lasciati da chi voleva difenderla dall’odio?