Le due Italie della Carrà
Come si diventa un antidoto contro le intossicazioni ideologiche
Nella storia dell’Italia televisiva c’è un prima e un dopo Raffaella Carrà. Suo il primo ombelico in Rai che scuote il Vaticano. Suo il primo barattolone di fagioli in grado di ipnotizzare un paese intero, ogni giorno all’ora di pranzo. Suo il ricongiungimento parentale estremo, tormentato e lacrimevole, senza cui nessun “C’è posta per te” sarebbe stato possibile. Non abbiamo avuto Serge Gainsbourg e Jane Birkin, ma Gianni Boncompagni e la Carrà, e “A far l’amore comincia tu” è stato il nostro “Je t’aime moi non plus”. Il loro sodalizio artistico, canzoni e programmi televisivi, è stato anche un formidabile antidoto giocoso e creativo all’intossicazione ideologica, alla tetraggine dei nostri anni Settanta. E c’è voluto il Guardian per spiegarcelo (o Francesco Vezzoli: “Ha fatto di più Raffaella Carrà nel percorso di liberazione femminile che molte femministe”). Forse non a caso i terroristi di Bellocchio in “Buongiorno notte” guardano la Carrà mentre tengono Moro in ostaggio (mentre canta “Tango”, in una puntata di “Ma che sera”). Due Italie e due mondi paralleli, uno destinato a scomparire, l’altro a farci ballare per sempre. Carrà cantante, ballerina, attrice (diplomata al Centro sperimentale) e icona gay, sorrentinizzata anche nella “Grande Bellezza”, certo.
Ma icona anche della nostra sete di modernità e della televisione più pazza e trasgressiva di sempre. Fino al 1983, quando arriva “Pronto Raffaella”, su RaiUno al mattino c’era il monoscopio fisso. Per chi è cresciuto con quella televisione, il barattolo zeppo di fagioli posato sul tavolo davanti al divano è un simbolo degli anni Ottanta, esoterico, misterioso, come un “objet trouvé” duchampiano, eppure nazional-popolare (citato recentemente anche da Lundini che evoca il dubbio iperbolico: “Qui dentro potrebbe esserci un fagiolo gigante circondato da fagiolini, chi l’ha detto che sono tutti della stessa misura?”.
Si sconfina nella performance concettuale). Raffaella Carrà che intervista Madre Teresa di Calcutta e Raffaella Carrà che canta “Il mio corpo è una moquette, dove tu ti addormenterai” (“Tanti auguri” come un capolavoro surrealista-femminista, impensabile nell’epoca del #MeToo). Se Pippo Baudo è stato “il” nazional-popolare, Raffaella Carrà è stata globale, europea, molto sudamericana e, com’è noto, amatissima in Spagna. Magari, prima della partita dell’Italia, mentre i calciatori si inginocchiano, potrebbero anche accennare un Tuca-Tuca.
generazione ansiosa