Il Foglio del Weekend
Ed è subito rinascimento
Mancini in trionfo a Wembley, i Måneskin a Time Square, Berrettini conquista Wimbledon. E poi Draghi che firma il Pnrr a Cinecittà e Raffaella Carrà che unisce il paese nel tuca tuca funerario. Siamo sempre stati un paese pop senza saperlo?
Siamo qui da un’ora a Fiumicino, col green pass in tasca, pronti a partire per Londra e una partita che è già una metafora: l’Europa di Mario Draghi contro la Brexit di Boris Johnson (l’arbitro è turco, per cui è chiaro che se vincono loro c’è tutto un disegno contro Bruxelles che passa da Wembley). I primi europei itineranti, a forma di Erasmus e con sponsor cinesi, hanno risvegliato soprattutto il nostro orgoglio nazionale e tutta un’Italia ancestrale. Se il voto sullo Zan spacca il paese, gli azzurri e la Carrà lo compattano in un turbinio di paillettes e tricolori. Transfobici forse, ma vanesi, narcisi, gender fluid, come il ciuffo del Mancio e il caschetto platinato di Raffa.
Andrea Minuz: Quanta Italia tutta insieme all’improvviso! Siamo tornati di moda, come negli anni del Boom: c’è l’impazzimento globale per i Maneskin sui grattacieli di Times Square, il basket, Berrettini in semifinale a Wimbledon, come Pietrangeli nel 1960. C’è la frenesia per i soldi del Recovery da spendere, come all’epoca della congiuntura propizia e favorevole.
Michele Masneri: Repubblica titola: “Effetto Nazionale: così dopo la pandemia l’Italia gioca in attacco”. La fiducia è ai massimi (ma quella sull’economia ai minimi, certifica Banca Intesa). “Una squadra che vince senza essere fortissima, ma va forte perché ci crede”, spiega lo psicologo Cancrini sul quotidiano romano. Insomma mostruose aspettative insieme a devastanti timori, per questa Italia: l’Istat registra “un marcato aumento della fiducia dei consumatori” a giugno. L’imprenditore Nerio Alessandri della Technogym dice: “Approfittiamo di questo clima per investire”. E Jamie Dimon, ceo di J.P. Morgan, consiglia d’investire da noi perché stiamo attraversando una fase di “rinnovata espansione economica e credibilità internazionale”.
AM: Vabbè, lo dice anche dell’India.
MM: Ma non hanno Draghi, Mancini, la Carrà.
AM: E infatti si aspetta questa partita a Wembley contro l’Inghilterra come una catarsi collettiva, nonché remake della serata al cineforum aziendale di Fantozzi, ingiustamente strappato dal divano di casa prima del fischio d’inizio. Non c’era modo migliore di festeggiare l’anniversario della morte di Paolo Villaggio che giocare contro gli inglesi la finale.
MM: Frittatona di cipolle caramellate con uova allevate a terra e birra artigianale filtrata a freddo, aggiornata allo spirito dei tempi (“scusi, chi si è inginocchiato?”, invece di “chi ha fatto palo?”).
AM: E gol di Donnarumma, di testa, su calcio d’angolo.
MM: E naturalmente son solo coincidenze, ma il grande anniversario del primo libro di “Fantozzi” (1971) serve come filo conduttore, insieme a quell’altro, i 35 anni di “Yuppies”, dei Vanzina, che sarà utile tenere a mente nei prossimi mesi, se arriverà questo benedetto secondo boom, e dunque nuove categorie di maschi e femmine “rampanti”, come diceva Sergio Vastano, calabrese di stanza “in” Bocconi.
AM: Per ora, la solita arcitalianità. Abbiamo iniziato gli europei con gli amuleti di Lino Banfi (e il Guardian che celebra “L’allenatore nel pallone”), li finiamo con la “fiesta” della Carrà, anche lei celebrata dal Guardian. Italia-Spagna è arrivata con un tempismo davvero perfetto, diventando subito un omaggio, praticamente un derby. Bravissimi gli sceneggiatori del torneo. Bravi anche a farci vincere soffrendo e facendo giocare di più e meglio la Spagna (squadra che del resto è un po’ come la paella, grandissimo sforzo per un risultato mediocre).
MM: L’associazione fatale tra calcio e paese, sempre inevitabile.
AM: Da noi poi tutto si incastra che è una meraviglia. C’è Mario Draghi, il leader carismatico, rigoroso, cosmopolita, che tiene a bada la nostra indisciplina, il carattere passionale, l’inclinazione all’improvvisazione e al far niente. E c’è l’anima creativa, la fantasia, l’estro del Mancio, allenatore teorico della bellezza immaginifica, le cui sorti, si sa, son sempre inseparabili dalle fortune d’Italia. Gli editoriali sulla “Grande bellezza dell’Italia di Mancini” sono ormai un genere a parte. Gli azzurri “possiedono la bellezza del cuore e uno spirito omerico” (Maurizio Crosetti su Repubblica). “I gol spettacolari rispondono a un bisogno italiano di bellezza” (Beppe Severgnini sul “Corriere”). “Eravamo la bozza di un progetto, siamo diventati un modello di bellezza” (Avvenire). E non si dica più che siamo “squadra femmina”, come scriveva Gianni Brera parlando del nostro celebre catenaccio (che comunque non si può più dire).
MM: C’è anche la bellezza sconfinata delle Marche: “Farò di tutto per farvi conoscere questa sconfinata bellezza”, dice il Mancio nello spot marchigiano, mentre passeggia sulle rive del Conero, s’infila nelle grotte di Frasassi, sfreccia in bici nelle piazze di Ascoli Piceno, s’affaccia tra i palchi del Ventidio Basso, gioiello dell’architettura teatrale italiana.
AM: Anche testimonial di Poste italiane, per uno Spid dal volto umano. E dopo la vittoria con la Spagna, nessuno si azzarda a dire che abbiamo avuto culo. Casomai abbiamo “sedotto la fortuna” (Mario Sconcerti sul Corriere). Memorabile anche Alberto Rimedio che apre Italia-Turchia con un perentorio, cinegiornalico: “Roma è il centro d’Europa!”. O il formidabile Veltroni “liquido” à la Bauman, che chiosa il giorno dopo l’esordio degli azzurri: “La nazionale di Mancini è riuscita a ricucire il rapporto tra il paese e i colori azzurri. Non sappiamo se questa armonia – condizione di relazione umana considerata desueta dal solipsismo livido dei nuovi media – produrrà i risultati attesi e sperati. Ma quello che so, per certo, è che una comunità riesce più difficilmente a raggiungere un obiettivo”. Un Mancini keynesiano contro le tentazioni liberali e individualiste del governo Draghi.
MM: Intanto i politici non perdono occasione di esprimersi, ognuno a modo suo, sui due temi del momento, gli Europei e Raffaella Carrà. I due temi si sovrappongono clamorosamente: in Campidoglio, affiancati, maxischermi dei funerali in diretta e maxischermi della partita. Renzi ha scritto: “La mia carriera è stata un continuo sorprendermi, e questo è il massimo”, citando la Carrà, ma parlando chiaramente di sé stesso). Conte che tuitta: “Senza risparmio: cuore, grinta e tenacia”, e non si sa se parli dell’Italia o delle sue pericolanti avventure da solista (per ribadire l’identificazione del corpo con la politica, si è fatto prontamente fotografare mentre sale in macchina con la scorta completamente vestito da tennis, dotato anche di racchetta). E siamo di nuovo a Fantozzi. Batti lei. Di Maio risponde: “La forza del gruppo: avanti uniti, sempre!” (forse un messaggio a Grillo).
AM: Per fortuna che c’è Mattarella, sobrio anche con la Carrà (“ha lanciato un messaggio di eleganza, gentilezza, ottimismo”, che sarebbe anche un bel manifesto politico).
MM: Lui vola a Wembley per seguire una tradizione che porta bene: come Giorgio Napolitano era a Berlino nel luglio 2006, quando l’Italia sconfisse la Francia per 5-3. Poi naturalmente il partigiano-presidente, Sandro Pertini al Bernabeu nel 1982, quando l’Italia vinse i Mondiali in Spagna dopo il gol del 3-1 alla Germania. Andò peggio a Ciampi, presente alla finale degli europei in Francia il 2 luglio del 2000, e gli toccò il compito più ingrato: persa la partita, raggiunse gli spogliatoiper consolare i giocatori. Per consolarli, una volta rientrati in Italia, li fece tutti Cavalieri della Repubblica.
AM: E Raffa invece niente! Non è mai stata fatta neanche commendatrice! Solo “icona gay della Repubblica”.
MM: Ma sarà più o meno importante di “cavaliere di Gran Croce?” E di “Grand’Ufficiale?”.
AM: Sicuramente meno. Ma può partire sempre la mozione del Pd. Dopo Mameli si canti “Bella Ciao”, dopo “Bella Ciao” “A Far l’amore comincia tu”.
MM: Però tutti a inginocchiarsi, davanti alla salma dell’amata Raffa, in questo rito funebre che appassiona e unisce, tanto quanto l’inginocchiamento civico è divisivo.
AM: Più si scende in piazza per la laicità, più ci scanniamo sui riti.
MM: Dopo “L’Avvelenata”, l’Inginocchiata. E però fa un po’ impressione un popolo abituato a inginocchiarsi letteralmente (e non) abbastanza di frequente, non famosissimo per la schiena dritta, immediatamente irrigidito invece sull’opportunità di farlo per un fatto certo “simbolico”, “che non risolve”, e naturalmente perché “c’è ben altro”; però che carineria e spirito dei tempi consiglierebbero, anche perché semplicemente “si fa”. Come del resto dire buongiorno o buonasera o inginocchiarsi a messa in certi momenti.
AM: Tornano in mente i beati anni della scuola dalle suore, quando chi restava in piedi dopo l’eucarestia (anziché sedersi e inginocchiarsi in segno di raccoglimento) era interrogato a sorpresa per un mese di fila.
MM:La prudenza degli azzurri è chiaramente una derivazione della santa messa, infatti, dove, non essendo espertissimi, gli italiani, popolo credente ma poco praticante, si guardano sempre intorno per capire dai vicini di banco quando è il momento di farlo. Gli inglesi si inginocchiano invece con più disinvoltura, sono abituati, col “curtsy” in vista di qualunque altezza reale o serenissima, senza tante storie, affinando anzi le tecniche (mai guardare in basso, sempre negli occhi).
AM: Ma sulla nostra inginocchiata si è creata sin da subito una gran confusione: appelli, controappelli, esortazioni del Pd all’inginocchiamento, editoriali di Libero all’in piedi, cancelletti su Twitter, manifesti di CasaPound, e Mancini che si dichiarava per “la libertà di scelta” e Chiellini, portavoce della squadra che sbaraglia a tutto: “Cercheremo di combattere il nazismo in altri modi”. Il solito gran casino. Ma siamo così, dolcemente complicati: laici e dubbiosi con le cause civili, ma inginocchiati alle processioni dei santi al paese.
MM: Così alle veglie e funerali di Raffaella Carrà tutti prostratissimi. E del resto la parola più usata è “icona”, insomma siamo nel territorio del sacro.
AM: Come nel comunicato della Fgci, che con la Spagna ha preso finalmente posizione, non ha tentennato come col Belgio e l’inginocchiamento a metà.
MM: Un comunicato fermo, risoluto, solenne: “La scomparsa di un’icona come Raffaella Carrà, donna innovativa e artista straordinaria, ha colpito tutti. Abbiamo chiesto e ottenuto dalla UEFA di poter inserire nella playlist del riscaldamento della squadra ‘A Far l’amore comincia tu’”.
AM: #BlondeLivesMatter.
MM: Ed eccola la Carrà che rimbomba nello stadio di Wembley, “applaudita e ballata dai moltissimi tifosi italiani presenti sulle tribune” (come riportato dal Corriere). Un po’ il nostro “Freddie Mercury Tribute” del ‘92.
AM: Omaggio alla Carrà anche in campo con la terna arbitrale tutta in tenuta tutta fucsia (come Spike Lee, anche lui in smoking fucsia, mentre inaugurava nel frattempo Cannes). E Caressa su Sky che apre il collegamento con un testo redatto senza dubbio dai suoi stagisti: “Ma che musica suoni maestro Mancini, a far l’amore nelle partite cominciamo noi, la Nazionale balla da capogiro…”, e via così. Si è vista anche una Paola Ferrari più glitterata del solito, con guinzaglio di lustrini al collo, in pericolosa zona fetish. E’ un’Italia che non approva lo Zan, ma si scopre sfrenatamente “queer” all’ombra della Carrà.
MM: Volgari baracconate! Perché dobbiamo vedere tutti questi maschi seminudi che urlano bloccando le vie della città urlando slogan osceni, anche molto vicino a San Pietro? Cosa volete dimostrare? Non abbiamo niente contro i tifosi, sono così sensibili, però queste cose fatele a casa vostra!
AM: Però ci stiamo evolvendo. In quota “gender inequality” la Rai ha schierato Marchisio, usato come valletta-muta accanto a Varriale. Certo, si poteva anche osare una telecronaca della Nazionale affidata a Katia Serra, bravissima, molto tecnica, competente, preparata, ma donna.
MM: Ma con l’Italia commentata da una donna veniva giù tutto. Altro che nazionale cantanti.
AM: Quindi ci teniamo Paola Ferrari circondata da maschi, come Lilli Gruber a “Otto e Mezzo”. Lei però sbaglia tutti i nomi stranieri. Il momento più surreale degli europei della Rai non è stato il suo ormai sin troppo celebrato accavallamento di coscia con sguardo in macchina, ma il momento più surreale di tutti degli europei della Rai è stata la lettura integrale del comunicato sindacale del cdr di Rai Sport, subito dopo Italia-Belgio, mentre in sottofondo si sentivano gli strombazzamenti per la vittoria. Anche i sindacati cavalcano le vittorie azzurre.
MM: Comunque è un’estate pazzesca, anche senza andare in vacanza, con questi tre giorni, molto sudamericani, di commemorazione per la Carrà, la salma portata in giro su e giù per Roma Nord con un corteo che tocca, secondo comunicato stampa, “tutti i luoghi cari” alla sublime artista, dunque vari avamposti Rai, viale Mazzini e via Teulada. La foto del carro funebre bicolore, enorme, scortato da motociclisti della polizia locale, che entra nel centro produzione Rai fa il paio con quella di Draghi con la Von der Leyen allo studio 5 di Cinecittà mentre firmano il Recovery). Siamo sempre in “Roma” di Fellini.
AM: La meraviglia dei carrozzoni vaccinati la sera dopo la partita dell’Italia, coi caroselli, le strombazzate, i maxischermi, le bandiere, e il corteo funebre di giorno.
MM: C’è da dire che Roma sta affinando molto, negli ultimi tempi, un format funeralizio senza uguali. Raggi, che è astutissima, ha capito che il vero genius loci romano è mortifero, dunque trasforma queste cerimonie – le uniche che contano, a Roma, lo si è sempre detto – in un palinsesto molto articolato. Si era già visto nelle esequie di Gigi Proietti, anche lì un protocollo elaborato, Globe Theatre e Chiesa degli Artisti. E forse ci saranno dei piani segreti predisposti – come a Londra dove usano i nomi dei ponti, per le esequie dei Reali (London Bridge ecc.), e qui saranno piuttosto Ponte Milvio o Ponte Mammolo. E comunque un carro funebre bicolore non si era mai visto. Se lo sarà disegnato lei da sola, la geniale Raffa, come Filippo di Edimburgo? Anche la speciale squadriglia motociclistica che lo affiancava, il carro, si vede esclusivamente in occasione dei funerali delle star, a Roma, con delle piccole motorette-scooter modernissime, mentre generalmente i vigili viaggiano su vecchie Fiat sgangherate. Tutto il meglio è tenuto per la cerimonia funeralizia, par di capire. E il funerale della Carrà, effettivamente, notevole: con quattro frati francescani venuti appositamente, e davanti all’altare una vecchia celebre foto di Oliviero Toscani che ritrae Raffa con uno stuolo di bambini multietnici, una specie di super mamma-Roma, o la Lupa di Ontani o una vecchia pubblicità inclusiva Benetton. E i celebranti che dicono, in diretta su Rai 1, che “prima di criticare l’amore, ogni tipo di amore, bisogna fare attenzione”; e la telecamera del Tg1 aziendalista che inquadra i politici presenti e il direttore della medesima Rai 1 Coletta. Che spettacolo! (la salma si sa che partirà per San Giovanni Rotondo).
AM: Ma questa cosa dei morti, hai ragione, a Roma sta davvero sfuggendo di mano. Ogni volta ci avviciniamo un po’ di più ai funerali di Hamas e degli Ayatollah, con le gigantografie colorate, i quadri, le foto, le sbandierate. Al teatro Brancaccio hanno fatto questo murales di Gigi Proietti che sembra proprio Ahmadinejad.
MM: E’ bello il mistone, o come dicono quelli seri, la contaminazione. Durante queste celebrazioni romane, in due giorni mi son trovato prima imbottigliato nei festeggiamenti per la semifinale di Italia-Spagna, con folle gigantesche seminude con bandiere a urlare per strada, con una gioia evidentemente compressa ma anche qualcosa di sinistro. E il giorno dopo, ecco la veglia per Raffa. Pare un gran carnevale, una di quelle feste che duravano giorni o settimane nella Roma barocca, ma anche un po’ messicana, “El dia de los muertos”. Anche, con tutta una sensualità nel migliore eros & thanatos. E però, verrebbe da dire, sempre sul tema mortifero, la morte della Carrà ha registrato anche lo sfondamento di un altro format, quello necrologico: apparso sul Corriere della Sera, quello firmato dal geniale duo composto dal regista Luca Guadagnino e dal giornalista Carlo Antonelli, che è stato immediatamente ripostato in tutti i meandri del Web. Inaugura un nuovo filone, quello del necrologio creativo, che non s’era mai visto.
AM: Faranno concorrenza ai funeral service di Taffo.
MM: Sembra più che altro un manifesto artistico-giornalistico: “Questa volta non serve unirsi alla commozione e alla gratitudine che stanno travolgendo il mondo per la partenza verso universi paillettati (e dove il collo non si spezza per il colpo di frusta all’indietro) che hanno accolto la compagna umanista Raffaella Carrà con trionfi discotropicali adatti al suo indefesso impegno terzomondista, ma semplicemente tramandare a voi ciò che lei stessa ci insegnò, con sapienza campesina, afferrandoci il braccio nel retropalco di un festival di Sanremo di vent’anni fa: le corna non si fanno verso l’alto, mai, ma verso il basso, per scaricare a terra la sfortuna. Grazie per questa lezione centrale che mai scorderemo, nei giorni di lotta”. Però la cosa delle corna la insegnava già il presidente Leone, no?
AM: Io non lo sapevo di vivere in un paese così unito e compatto sul pop e sul camp. Anzi, mi pareva di essere cresciuto con una cultura molto bacchettona e tetra, incapace di venire a patti con le emozioni di massa, con l’entertainment senza un briciolo di impegno dentro, con le cose che piacciono a tutti, proprio perché piacciono a tutti. Muore la Carrà e scopro che sono sempre stati tutti pop. A destra, a sinistra, al centro, pure il Cardinal Ravasi. Tutti.
MM: Già, anche a casa mia quando c’era la Carrà si cambiava canale, i genitori perché classe media riflessiva, i nonni perché forse un po’ prude. Ma sono le solite tre fasi più una dell’icona pop italiana: 1) che volgarità; 2) tocca farci i conti, è il paese reale; 3) pezzo sul Guardian; 4) tema della maturità.
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