Saverio ma giusto
Greepassateci tutti
Non solo per attestare la doppia dose di vaccino, ma per tutto: un patentino di competenze e informazione per partecipare ai dibattiti. Ma anche per invitare qualcuno a cena: mai più chiacchiere da bar. E perché no? Un attestato di doccia recente, shampoo compreso
Emmanuel Macron ha annunciato che d’ora in avanti per entrare in bar, ristoranti, treni, autobus, cinema o teatri bisognerà avere il green pass; alla notizia, picco di prenotazioni in Francia per farsi vaccinare, circa ventimila al minuto, quasi un milione in una sola notte. Si tratta di una resa incondizionata? Rassegnazione a una norma restrittiva, che di fatto “obbliga” a vaccinarsi? Forse. Oppure si tratta di profonda adesione al provvedimento, oserei dire ideologica. Un’adesione cioè non alla campagna vaccinale in sé, ma alla filosofia che c’è dietro: l’idea che ci voglia un pass, un patentino, sempre e comunque, per fare qualunque cosa, in ogni luogo.
La libertà, qualunque libertà, è un diritto; ma i diritti bisogna anche saperseli conquistare, dopotutto. Non dico con la morte, combattendo come fecero i nostri antenati (non abbiamo più né il tempo né la concentrazione per metterci a fare bombardamenti, guerre di trincea, sbarchi in Normandia o Resistenza sull’Appennino tosco-emiliano); ma un minimo di sforzo, di sacrificio, in cambio di libertà fondamentali, ecco sì questo sì. Del resto quante volte, in un talk in tv o sui social, le persone si sono pronunciate (sull’epidemia, sull’economia, sulla giustizia, su una legge in discussione in Parlamento) senza il minimo titolo per farlo?
Ecco, ci vorrebbe anche un green pass per intervenire nei dibattiti, per dire la propria; un QR code che certifichi che ciò che hai da dire sia fondato su basi solide e concrete, documentate e documentabili. Per non parlare del voto: gente che entra in cabina elettorale in preda alla confusione e al furore, ma alla cui X sono appesi i destini di un’intera nazione. Forse, oltre alla carta d’identità per controllare che siano maggiorenni, gli elettori al seggio dovrebbero esibire anche un pass che ne certifichi l’essere informati, consapevoli, in grado d’intendere e di volere, dotati di senso della realtà. E quante relazioni tossiche (o anche solo noiose) ci saremmo risparmiati se il nostro (ex) partner al primo appuntamento, oltre a un bel sorriso (e agli esami dell’Hiv per i soggetti più ansiosi), avesse sfoggiato anche un love pass che ne certificasse l’equilibrio emotivo, la soglia minima di empatia, l’abilità all’orgasmo – quello a provocarne uno in primis.
Per prendere parte alla vita civile, in tutte le sue espressioni, non basta essere vaccinati; bisogna anche essere adulti. Ben venga dunque il green pass per fare tutto, ma il criterio per rilasciarlo non può essere solo la doppia dose di vaccino. Ci vuole anche un esame in educazione civica e uno in italiano (scritto e parlato), una perizia psicologica, un attestato di sana e robusta convivenza civile, un certificato di agibilità che ne certifichi il saper stare al mondo e uno dell’ufficio d’igiene che ne attesti una doccia recente – shampoo compreso. Solo così saremo sicuri che quando entriamo in un luogo pubblico saremo circondati non solo da persone sane, ma anche brillanti, educate, razionali, pulite e profumate; che se aprono bocca non solo non fanno droplet, ma nemmeno dicono sciocchezze.
Il green pass totale (da applicarsi ai luoghi di aggregazione sia reali che virtuali) porterebbe alla sparizione delle chiacchiere da bar, interromperebbe il proliferare di fake news, ed eviterebbe tanti spiacevoli incontri. Nessuno s’innamorerebbe più della persona sbagliata, nessuno si ritroverebbe più incastrato in una conversazione noiosa o imbarazzante, nessuno passerebbe più una brutta serata – a parte le zanzare. Sarebbe un ritorno alla normalità, ma bonificata da tutte le sue paludi, ripulita dai rami secchi. Greenpassateci tutti.
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