spazio okkupato
Lì dove nascono i No vax e quelli che credono agli uccelli-spia
L'opinione pubblica si forma in base a like e cuoricini. Prima l'informazione serviva a costruirsi un'opinione attraverso il dibattito: adesso ci si informa per poter attaccare meglio sui social. Ma i comportamenti collettivi sono sempre stati informi e fluttuanti
In effetti nel Novecento si vedevano molti più uccelli in giro. Nelle città c’erano più passeri, ma non le taccole, figurarsi i gabbiani. E in campagna era raro vedere un picchio, un gheppio o un airone cinerino che, invece, oggi te li tirano dietro. Questi pensieri ornitologici mi si sono innescati dopo aver letto che ai pro QAnon, anti Bilderberg, No vax, terrapiattisti e negazionisti della neve, si sono aggiunti quelli di B.A.R., Birds Aren’t Real, un gruppuscolo convinto che tra il 1959 e il 2001 il governo americano abbia sterminato tutti gli uccelli d’America per via della cacca e che li abbia poi rimpiazzati con droni in grado di tracciare i nostri comportamenti. Il gruppo, nato come parodia di quelli che invece sono davvero complottisti, è guidato da un tal Peter McIndoe che, a riprova della sua teoria, cita il fatto innegabile che gli uccelli si posino sui cavi elettrici per ricaricarsi (per aderire ci sono tre opzioni: Truther per 4,50 euro al mese, Patriot per 9 euro e Founding Father per 1.531,50 euro, sempre mensili). Mentre pochi giorni fa quelli di B.A.R. lanciavano il loro tour americano, il presidente eletto Joe Biden ha parlato di Donald Trump a Philadelphia, la città dove la democrazia americana è nata. Biden ha detto che i “bulli e i mercanti della paura” e le loro teorie cospirazioniste costituiscono una minaccia per l’esistenza stessa della democrazia americana: “Se perdi, accetti i risultati. Non citi fatti falsi e cerchi di abbattere l’esperimento americano solo perché sei triste. Questo non è da statisti. E’ da egoisti. Non è democrazia, è la negazione del diritto di voto”.
Certo, ogni epoca ha avuto i suoi picchiatelli (solo che una volta in genere non riuscivano a farsi eleggere). La differenza è che oggi, grazie ai social (e ad articoli che come questo ne rilanciano le follie) ogni picchiatello ha almeno 25 seguaci, oltre ai suoi canonici 25 minuti di popolarità. Se riesce a insinuare un dubbio – e io, per esempio, non guarderò mai più gli uccelli allo stesso modo – il meccanismo si mette in moto, potenzialmente a valanga. Per questo, qualche giorno fa, la rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) ha pubblicato un articolo/appello in cui si legge che comprendere gli effetti delle nuove tecnologie sui comportamenti collettivi è urgente quanto affrontare l’emergenza climatica. Sono convinto che una delle ragioni profonde dell’impatto di Internet sulla democrazia consista nel fatto che, sui social network, il flusso informazione-dialogo-opinione è via via rimpiazzato dalla sequenza opinione-informazione-dialogo. I social ribaltano, cioè, la successione attraverso cui, da Socrate in poi, si forma l’opinione pubblica. Di norma, l’opinione dovrebbe formarsi dopo una prima fase di informazione e di dialogo, spesso mischiate. L’istantaneità dei social impone, al contrario, di prendere posizione subito e di discutere in seguito da opposte fazioni, in modo che il dibattito si trasforma subito in lite e insulto.
I social network minano alla base la fiducia nel dialogo come strumento per giungere a una verità condivisa, l’atto di fede su cui si fonda la democrazia e la civiltà occidentale. L’istantaneità dei social ha un altro paradossale effetto: rende istantanei anche i temi, riducendo la politica a una serie di hashtag e trendtopic, cioè a eventi destinati a consumarsi in qualche ora senza lasciare memoria e senza riguardare nessuno per davvero. Si può credere così che gli uccelli siano spie, per un attimo e per scherzo, tanto non costa niente, si approfondirà in seguito. In questo quadro l’informazione non serve più a formare l’opinione, ma a sostenerla. In altre parole, non ci si informa più per decidere da che parte stare, ma per difendere la parte su cui ci si è già schierati. Anzi, per attaccare chi è schierato sul fronte opposto. La necessità di decidere immediatamente se mettere un like o il cuore distrugge alle fondamenta la funzione democratica dell’informazione, che sarebbe avvicinare, non schierare. Ed è l’altra grande trasformazione: i social network sono media binari che creano tribù contrapposte, appiattendo la complessità del reale e riducendo la ricchezza di opinioni all’alternativa tra Sì e No, Like e Non Like. La democrazia diventa plebiscitaria: si riduce alla scelta tra Cristo o Barabba.
La progressiva scomparsa dal dibattito pubblico delle posizioni intermedie ha avuto una dimostrazione eclatante qualche giorno fa in Francia, quando un milione di persone è corsa a vaccinarsi non appena il governo ha deciso di istituire un pass per accedere a bar, cinema, treni e centri commerciali. L’esercito dei No vax non era pullulante e agguerrito come appariva. Davanti alla prospettiva di una rinuncia si è squagliato come neve al sole perché l’opinione pubblica è ancora informe e fluttuante, come sempre nella storia. Noi esseri umani siamo in volo dubbioso tra opposte certezze, ma per conformismo, prudenza, pigrizia o convenienza ci acquattiamo nel nido più comodo, accorrendo in massa a festeggiare l’Italia o aspettando nel dubbio che a vaccinarsi siano gli altri, sempre che ci sia concesso e non ci sia un prezzo da pagare.