Saverio ma giusto
Basta ipocrisie, spazio al doping senza limiti
È ora di istituire le Dopolimpiadi, dedicate a tutti quelli che amano lo sport per lo spettacolo che offre: si obbligheranno gli atleti a fare uso di sostanze. Perché in fondo le storie edificanti sulla disciplina e l'educazione nella competizione ci hanno stufato
Il dibattito sul doping sollevato dal Washington Post e dal Times sul risultato di Marcell Jacobs che ha vinto i 100 metri in 9’’80, che sia stato generato da reali dubbi giornalistici o da semplice rodimento, parte comunque da un presupposto sbagliato, moralistico e fuori dal tempo: che doparsi per un atleta sia sbagliato, non etico, antisportivo. Questa visione è figlia dello sport come disciplina, come educazione, come cultura: una visione ipocrita, retorica e falsa. Quando la gente paga un biglietto per entrare in uno stadio o si piazza sul divano con una birra in mano e una ciotola piena di nachos non è per vedere quanto sono disciplinati, colti e ben educati i nostri atleti; ma è per vederli vincere, o comunque compiere gesta memorabili, o anche solo per ammirarne gli addominali, i bicipiti, i polpacci. Insomma, lo sport è uno spettacolo. Altrimenti, fosse davvero una disciplina, un’educazione, una cultura, ci sarebbero forse tutti quei soldi, tutti quegli interessi (sponsor, ingaggi, diritti tv), tutta quella figa? Io non metto in dubbio che dietro allo sport possano esserci anche dei valori, un’etica... Ma qui nessuno pagherebbe un abbonamento per vedere Jacobs portare i fiori sulla tomba di Mennea – per quanto possa farlo velocemente.
Piaccia o meno, lo sport risponde alle regole dello show business: tanto che restano memorabili anche gesta come l’orecchio staccato a morsi da Mike Tyson, la capocciata di Zidane a Materazzi (gesto condannatissimo e nessuno che si sia mai soffermato sulla precisione aerodinamica di quel colpo di testa, sulla sua posa plastica, sull’agonismo che c’era dietro), per non parlare dell’impresa di Eric Moussambani a Sydney nel 2000 noto anche come “il peggior nuotatore al mondo” – più che gareggiare per i 100 metri stile libero (che vinse per autosqualifica degli avversari) sembrava soltanto voler raggiungere il bordo piscina prima di affogare, e il tutto con grandissima fatica. Basta ipocrisie: lo sport è uno spettacolo come il cinema o le serie tv, e il doping sono i suoi effetti speciali.
Per quelli a cui piacciono le belle storie di sacrificio e disciplina ci sono le Olimpiadi; per quelli a cui piacciono le storie di riscatto e buoni sentimenti, le Paralimpiadi. Per quelli a cui piacciono i film d’azione o i videogame, insomma per gli amanti dello spettacolo per lo spettacolo senza tanta trama o messaggi edificanti, istituiamo le Dopolimpiadi. Partecipano solo atleti dopati, senza limiti di sostanze né di somministrazione. Spettacolo assicurato: corridori che fanno i 100 metri in 3’’20, saltatori in alto che arrivano a toccare il soffitto, nuotatori che camminano sulle acque. Solo il ciclismo resterebbe identico. Con le Dopolimpiadi, il doping stesso diventerebbe specialità olimpica, una sorta di Pentathlon che comprenderebbe le seguenti discipline: corsa in farmacia, tiro col naso, sollevamento urine, lancio in alto delle pasticche (con conseguente presa con la bocca), salto sull’ago.
Ovviamente i controlli antidoping non verrebbero aboliti: servirebbero per controllare che tutti gli atleti abbiano fatto uso di sostanze per aumentare il proprio rendimento fisico e le sue prestazioni, e sbattere fuori chi invece, pulito, stia cercando di sabotare i Giochi. Sono certo che così facendo non solo lo sport vincerebbe la concorrenza con i videogiochi, ma avvicinerebbe anche un sacco di giovani allo sport.
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