A scuola da Khaby Lame
Dai temi di liceo ai guru dei nuovi media, i fenomeni social nutrono la riflessione
"Learn from Khaby”: impara da Khaby Lame, il fenomeno da 100 milioni di follower su TikTok. Primo in Europa, secondo nel mondo. Siccome la semiologia è un po’ in disarmo, e Roland Barthes non è più tra noi, l’analisi non sarà all’altezza del fenomeno, ma ci proveremo ugualmente. Rinunciando però a dare una descrizione veramente accurata dei video della nuova star del social cinese (nato in Senegal, cresciuto a Chivasso; il presidente Malagò direbbe: figlio di un’Italia multietnica e super integrata), perché sono muti, e conta la mimica di Khaby, e io la sua faccia e il suo gesto con le mani aperte non so rifarvelo qui.
Sul suo profilo, l’ultimo video – da 2,3 milioni di like – mostra un’enorme nuvola di palloncini rosa che cade in un centro commerciale, in mezzo ai negozi; poi c’è Khaby con una scopa e una paletta che guarda sconsolato quanto c’è da pulire: Bless the cleaning men and ladies, “rispetto per gli uomini e le donne delle pulizie”. Nel tiktok precedente, c’è una donna infagottata dinanzi a una calamita pulisci vetri che pare muoversi da sola su una vetrata. Dopodiché si vede un’altra calamita sul finestrino di un auto, apri la portiera e c’è Khaby che l’aziona dall’interno: svelato il piccolo trucco. 81 milioni di visualizzazioni, 8,7 milioni di like, 163.400 commenti, 14.200 condivisioni. Grandi occhi sgranati, braccia tese in avanti e palmi delle mani all’insù, nel gesto di chi vuol dire: ecco, vedete, è così, ci vuole tanto?
Quel che ci vuole per essere Khaby Lame, e fare questi numeri non è facile a dirsi. Khaby mostra come sistemare un laptop nella borsa, come infilare un calzino, come farsi una doccia. Khaby mette il telefonino in tasca prima di lavarsi le mani (geniale, no?), Khaby ribalta i sedili dell’auto per farci entrare un televisore (un’altra soluzione di genio), Khaby gira un lungo coltello per tagliare la torta dal lato della lama, e questa volta è nientemeno che la regina Elisabetta – che non sa cavarsela con una sciabola ricurva, in non mi ricordo quale occasione celebrativa – a essere presa amabilmente in giro. Ogni volta è così: pochi secondi, performance mute, spiegazioni semplici e disarmanti per mettere alla berlina le nostre imbranataggini, le trovate strampalate, certe soluzioni arzigogolate che ci complicano inutilmente la vita. Ecco la morale: per riporre il pc nella borsa basta che sia della giusta dimensione; per infilare il calzino non occorre uno strano aggeggio per tenerlo aperto, basta infilarci il piede; per farsi una doccia basta entrare in una cabina doccia, senza bisogno di strane bombolette spray che sostituiscono il getto d’acqua.
Non c’è altro, e però è abbastanza per metterci su, nell’ordine che preferite: l’ennesimo saggio sui meccanismi della comicità, per aggiornare temi liceali; un’indagine il più possibile circostanziata del funzionamento dei social media e della partecipazione interattiva; una disamina sociologicamente ben guarnita dei fenomeni generazionali (mentre guardavo alcuni di questi video, vedendomi perplesso, mio figlio quindicenne mi ha ripetutamente apostrofato con uno sconsolato “sei vecchio”, e in effetti io un account su TikTok non ce l’ho ancora, anche se conto di provvedervi quanto prima); un’analisi dell’economia digitale nell’attuale fase di sviluppo del capitalismo globale; una riflessione sul potenziale politico dei nuovi artefatti visuali, possibilmente corredata da una citazione di Walter Benjamin sull’estetizzazione della politica a cui replicare con la politicizzazione dell’arte, in chiave – s’intende – critica ed emancipatrice; un inventario dei segni grafici, musicali, visivi che Khaby impiega, per meditare filosoficamente il nuovo rapporto fra corpo, suono e immagine nell’epoca della rete, aprendo in prospettiva a qualche nuova mutazione antropologica; una pensosa e pessimistica considerazione sulla moda, in stile di leopardiana operetta morale; un’interrogazione su serialità e viralità che giustifichi l’esistenza in vita di nuovi guru della massmediologia; infine, se non siete troppo stanchi, una salva finale di esecrazioni e maledizioni, diretta – a seconda di dove vi portano le vostre paure – contro il tecnoliberismo dell’occidente, cioè contro il dominio degli apparati, dei dispositivi, delle macchine, oppure contro la Cina e i musi gialli, perché TikTok viene da lì, e finché si legge di Mark Zuckerberg o di Google non ci spaventiamo troppo, ma se le tendenze le dettano sviluppatori con nomi immemorabili e tutti uguali allora, forse, non ci va più bene.
Intanto, Khaby macina follower. Diciassette mesi per arrivare a 100 milioni, e nessuna intenzione di chiuderla qua.
I guardiani del bene presunto