Il tabaccaio di Eduardo
Ruba il Gratta e Vinci a una vecchina e scappa in Spagna. Ma questa storia l’aveva già scritta, meglio, De Filippo
“Se non restituisce il biglietto passa un brutto quarto d’ora”
E. De Filippo, “Non ti pago”
La Fortuna è insolente. Dispettosa. Infida. Va dove la porta il cuore, ci sfiora però sul più bello gira le spalle e bacia un altro. Offeso da questo mistero Gaetano Scutellaro, tabaccaio cinquantasettenne, compie un azzardo che riesce a pochissimi e tra costoro lui manca: cerca di costringere la riluttante Sciorta a suo proprio vantaggio. La menzioniamo col vocabolo napoletano perché è a Napoli, terreno avvezzo a simili duelli, che ai primi di questo mese è occorso il fatto, come avranno già appreso diversi lettori. Don Gaetano, anzi Gaetano perché – fatta salva la presunzione di non colpevolezza – il “don” non lo merita più, sottrae a un’anziana signora l’aureo tagliando di un Gratta e vinci acquistato nella tabaccheria degli Scutellaro e con cui ha appena vinto cinquecentomila euro.
Profittando del felice sbigottimento, indispettito perché quel tagliando era giaciuto a lungo beffardo dietro il bancone senza che lo grattasse lui, Gaetano lo sfila alla donna con la scusa di controllarlo. Invece inforca lo scooter e si dilegua lasciandola di sasso, ad aspettare invano un ritorno assieme ai propri imbarazzati parenti che lavorano nella tabaccheria. E’ il 2 settembre scorso. Lui forse agisce d’impulso oppure pensa che la signora sia soggetto di più agile raggiro. Chissà. Certo non si rende conto che s’accinge a diventare il tabaccaio più famoso d’Italia. Continua la sua fuga e la signora lo denuncia.
La vicenda, di squallida tessitura penale se fosse avvenuta a Belluno o Imperia, ad Ascoli Piceno o Massa Carrara, vira per fatalità geografica verso pagine già abbozzate nelle farse scarpettiane, premonite da una commedia di Eduardo e nei personaggi di Giuseppe Marotta. Perché ci sono artisti che non si limitano a immaginare storie, ma aspirano a suscitarle o perlomeno precederle, tirando giù gli archetipi dalla soffitta nella certezza che la realtà non potrà che ripeterli un giorno o l’altro. Con infinite variazioni sul tema.
Solo per poco di Scutellaro si smarriscono le tracce, ossia fin quando viene bloccato all’aeroporto di Fiumicino mentre s’imbarca per le Isole Canarie destinazione Fuerteventura: un must di Facebook, che una settantina d’anni fa avrebbe trovato l’equivalente eduardiano in Sorrento o Positano, comunque non Capri e comunque luoghi adatti allora quant’è la Spagna oggi a una vacanza da fuggiasco. All’epoca però senza racconto fotografico, a privazione dei tanti che come Scutellaro ne postano le segnature del benessere: abbronzatura con mare e/o piscina, amaca, sigaro. Più originale tra le immagini del tabaccaio diffuse online è quella con un sussiegoso esemplare di mastino napoletano, razza di più complesso mantenimento e minor ferocia dei pitbull, perciò in rarefazione rispetto a quando Eduardo la menzionava ne “Il sindaco del rione Sanità”.
E il tagliando da mezzo milione? Scoprono i carabinieri che il tabaccaio lo aveva depositato, strada facendo verso Roma, in una banca di Latina. Per lui, mentre tornava a Napoli dopo il fallito espatrio, sono scattate le manette con l’accusa di furto pluriaggravato e tentata estorsione, perché avrebbe proposto alla signora il cosiddetto “cavallo di ritorno”: restituirle il Gratta e vinci in cambio d’una quota del premio. Dal carcere di Santa Maria Capua Vetere, attraverso il suo legale Vincenzo Strazzullo, Scutellaro si è detto consapevole del proprio errore, ha espresso pentimento, si è scusato con i famigliari e con la vittima. Intanto a Napoli, giocando sul gioco, gli appassionati tentavano di monetizzare l’evento con l’individuazione di un bel terno secco: 46 (i soldi) 72 (la meraviglia) 89 (l’anziana). O quello più pregno di giudizi morali: 22 (il pazzo) 46 (i soldi) 71 (l’uomo di niente). “Tutti gli avvenimenti, grandi e piccoli, sono considerati come una misteriosa sorgente di guadagno”, affermò a proposito del Lotto la quasi sempre infallibile Matilde Serao.
Scutellaro, forse è la verità o forse è solo strategia difensiva, si è rifugiato intanto nell’area nebulosa attigua alla follia che Eduardo De Filippo descrisse minuziosamente nella celebre commedia “Non ti pago”, in cui lo sfortunato giocatore Ferdinando Quagliuolo, che è anche titolare di una ricevitoria del Lotto, sfila al suo impiegato Mario Bertolini il biglietto vincente di una quaterna milionaria e si rifiuta di restituirglielo contestando la “proprietà” del sogno che gli aveva elargito i numeri baciati dal destino. Mosso da un raptus simile a quello del tabaccaio, Quagliuolo si rifiuta di accettare la Sciorta, vuol correggere a suo modo la Fortuna sfidandola sul confine smarginato tra il sogno e la realtà. Non sorprende perciò che l’avvocato Strazzullo (quello cui si rivolge il personaggio eduardiano si chiama Strumillo, e anche certe assonanze nei cognomi impressionano) riferisca di aver trovato il suo cliente in carcere “molto provato, una persona afflitta… In quel momento non riusciva a ragionare, secondo me è affetto da una grave malattia psichiatrica e questa lo avrà indotto a commettere un atto contro qualsiasi logica, perché d’altro canto il biglietto non poteva essere incassato. Lui stava scappando perché aveva paura, poi ha messo i piedi a terra e stava rientrando per chiarire la vicenda”. Gaetano Scutellaro, ha precisato il penalista, “non ricorda tanto: ora sta cercando di capire quello che è successo, vive una realtà diversa e ha dimenticato. Non riesce a capire quel che è successo e perché”.
Chi conosce Napoli sa che via Materdei, dove si trova la tabaccheria della famiglia Scutellaro, è una strada tendente alla collina tra i chiaroscuri di un sole definito da Marotta “più pigro” rispetto a quello dei quartieri alti e bassi, e che forse traluce la sua ambiguità sugli umori umani. Una topografia che ha provveduto quantomeno di certe nuances i narratori per scelta prima ancora dei cronisti per obbligo. E’ al rione Materdei, in Salita Porteria San Raffaele, che Vittorio De Sica ambientò l’episodio delle pizze a credito ne “L’oro di Napoli”, tratto dall’omonimo libro di Marotta, dove a sparire non è un biglietto ma il costoso anello coniugale di smeraldi di Sophia Loren, smarrimento e ritrovamento sotto cui si celano corna che non saranno mai acclarate dall’ingenuo marito. E in via Fonseca, sempre nei paraggi, visse il personaggio marottiano Ciro Mancuso, promotore di riffe con cui metteva in palio “un oggetto, o un animale, o una nuvola” aggiudicati da chi avesse acquistato il numero corrispondente al primo estratto sulla ruota di Napoli al sabato successivo. Per incoraggiare la clientela alla partecipazione, Mancuso il lunedì mattina riempiva a matita il cartellone del suo concorso con “nomi illeggibili”, ovvero inesistenti, per una settantina dei novanta numeri. Ventennale esperienza difatti “lo avvertiva che una riffa deserta non eccita nei giocatori il senso dell’antagonismo, anzi li immobilizza esitanti e pavidi sulla soglia del rischio. Essi hanno bisogno di sentirsi dire: ‘Che aspettate? Sono gli ultimi numeri’”. Con sostanziale onestà, nel corso della settimana l’organizzatore avrebbe cancellato i nomi fittizi per sostituirli con gli autentici man mano che la vendita dei biglietti progrediva con successo.
Ora, se un supporter della squadra londinese West Ham ha per filosofia di vita l’inno “I’m forever blowing bubbles”, dove si sancisce “Fortune’s always hiding, I’ve lookeed everywhere”, un normale tifoso del Napoli s’ispira invece al principio sognante della “mano de Dios”. Quantomeno a un tiro a giro di Insigne. Pertanto con meno rassegnazione, prima di inchinarsi alla sorte, prova a batterla in contropiede o addirittura sconfiggerla a tavolino.
La metafora può spiegare meglio la commedia di Eduardo messa in scena per la prima volta al Teatro Quirino di Roma sei mesi dopo l’entrata in guerra, nel giorno dell’Immacolata del 1940. “Non ti pago” è stata attualizzata in questo 2021 dal tabaccaio di Materdei e da un film di Edoardo De Angelis, già regista dell’eduardiano “Natale in Casa Cupiello”, la cui messa in onda è programmata nella prossima stagione Rai. La vicenda di Ferdinando Quagliuolo è riemersa, alla notizia del Gratta e vinci rubato, sulla bocca dei napoletani ammettendo che anche questa cosa Eduardo l’aveva già scritta ma meglio. Quagliuolo vive il risentimento verso la Fortuna dopo avere trascorso decine di notti sui tetti a decifrare, tra le nuvole, gli auspici per i numeri senza azzeccare neppure un ambo. Il suo dipendente Bertolini invece, beneficato dai sogni, non solo indovina con puntualità le estrazioni ma aspira alla mano di Stella, figlia unica di don Ferdinando, avendo informato del fidanzamento soltanto la madre. Poco considerato in casa, nonché dalla Fortuna, il protagonista scoppia quando apprende che i numeri in sogno, a Bertolini, glieli ha consegnati il proprio defunto padre. Subentra alla logica diurna una giurisprudenza della notte, che né il parroco né l’avvocato persuaderanno don Ferdinando a smentire: “Bertolini abita alla casa dove abitavo io con mio padre e che io lasciai per venire ad abitare qua dopo la sua morte, perché mi faceva impressione. Dunque, la buon’anima di mio padre, povero vecchio, credeva di trovare a me in quella camera, e non si è accorto che nel letto invece ‘e ce sta’ io, ce steva Mario Bertolini. Tanto è vero che non ha detto: Bertoli’… ha detto: ‘Picceri’ giochete sti nummere’. Perché mio padre accussì me chiammava: picceri’”.
Costretto dall’insindacabile dettato della legge, Quagliuolo rende il biglietto a Bertolini ma accompagna il gesto sollecitando all’anima di suo padre un anatema che poi – per caso o per occulto compimento – agirà: il giovane ritiri pure la vincita, ma con quattro milioni di guai. “Ogni soldo na disgrazia, comprese malattie insignificanti, malattie mortali, rotture e perdite di arti superiori e inferiori; peste e culera, friddo e miseria…”. Quando, stremato dalle sciagure che gli accadono a ogni tentativo di riscuotere, il povero Bertolini si risolve a cedere il biglietto a don Ferdinando, questi finalmente ravveduto – più o meno come Scutellaro che “ha rimesso i piedi per terra” – gli rimetterà la vincita come dote della figlia Stella per il matrimonio, che finalmente benedirà col suo consenso. Quale arcano connubio intrecci a Napoli il lotto e le nozze Eduardo forse sapeva, circolando fino alla prima metà del Novecento fra le letture popolari il cosiddetto “Libro di S. Pantaleone”, contenente le preghiere per un terno con cui comprare il corredo nuziale. Secondo la Serao la ludopatia, che allora non si chiamava così, era la piaga più diffusa, una “acquavite” devastatrice di Napoli. E già alla fine dell’Ottocento, fra i tenitori del gioco clandestino parallelo a quello legale, avveniva che chi non volesse pagare le vincite se la squagliasse coi soldi e i registri nel pomeriggio del sabato.
Come se il caldo li propiziasse, gli arcani fantasmi di Napoli colgono d’estate la stagione più favorevole a bucare la coltre onirica che li rassopisce durante il resto dell’anno. L’invocazione della “follia” per il gesto del tabaccaio corrisponde all’evocazione di un universo collettivo trasognato lungo le generazioni, fissato nelle creazioni più felici di teatro, cinema e letteratura. Accadde nell’agosto di qualche anno fa che per diversi giorni numerosi testimoni giurarono di aver veduto il fantasma di una bambina nell’edificio del Museo Nazionale. Chi conosce Napoli non si può stupire che le visioni degli anni Duemila assomiglino a quelle dell’Ottocento o s’accordino tanto alle opere che le hanno anticipate. Spiegò benissimo Riccardo Pazzaglia nei suoi ricordi di “Partenopeo in esilio”: “Nacqui in una città, in un rione, in un fabbricato e in una casa dove attorno a me non c’era niente che fosse nuovo, tutto era già antico, vecchio e rotto, ma anche riaggiustato con molta abilità e fantasia”.
Nihil sub sole novum, anche se il sole è quello un po’ più pigro e incerto che, senza abbagliarlo, batte sul rione Materdei.
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