Marty Feldman e Gene Wilder in "Frankenstein Junior" di Mel Brooks 

Saverio ma giusto

Basta pompe funebri dal marketing sarcastico!

Saverio Raimondo

Adesso chiunque sui social è “ironico” – con il risultato che ovviamente non lo è più nessuno. Ma l’umorismo sulla morte è una cosa seria, anzi, di più: la morte è la causa dell’umorismo, e vederlo banalizzato da Taffo & co. è rivoltante. Boicottiamo la morte!

In principio fu Taffo: la prima agenzia funebre a ricorrere a un marketing ironico e sarcastico, “giovane” (in effetti per vendere il funerale del nonno devi parlare al nipote e non al diretto interessato né al figlio troppo sconvolto dal dolore per la perdita del genitore); un tono non conforme all’austerità e alla sobrietà con le quali comunemente viene trattato il tema del trapasso – e sue relative beghe dal punto di vista pratico, con annessa burocrazia e logistica. Ora invece tutte le agenzie funebri si sono allineate al nuovo corso: in tutta Italia – ma soprattutto a Roma: si vede che si muore di più, saranno le buche o le aggressioni dei cinghiali – fioriscono manifesti con simpatici giochi di parole o buffe trovate visive (testimonial che fanno le corna) per vendere bare o il funerale completo – in quel caso la bara è in omaggio. 

Nella cartellonistica funebre si sta ripetendo quello che è successo sul web negli ultimi dieci anni: in principio era Spinoza, poi sono fioriti i blog e i siti di battute, e adesso chiunque sui social è “ironico” – con il risultato che ovviamente non lo è più nessuno, l’ironia è diventata solo una maschera dietro la quale nascondersi e non esprimersi, tanto che l’ironia vera non la capisce più nessuno con conseguenti ottusità. L’umorismo sulla morte è una cosa seria, anzi, di più: la morte è la causa dell’umorismo – il motivo che ci spinge a cercarlo, fruirlo, praticarlo. Quindi l’umorismo sulla morte è quintessenziale, oserei dire necessario. Vederlo banalizzato così è rivoltante, anche perché strumentale: qui il vero obiettivo non è esorcizzare la morte, ma il prezzo che devi pagare per smaltire il più ingombrante – anche emotivamente – dei rifiuti, per giunta deperibile. Dobbiamo opporci a tutto questo: altro che “Grande Reset”, qui è in gioco qualcosa di antropologico. 

Il piano è questo: boicottiamo le agenzie funebri smettendo di morire. Respiriamo in continuazione e non incrociamo più le mani sul petto, a oltranza; e vedrete come a questi gli passa la voglia di ridere! Certo, è una protesta ambiziosa; forse il più grande sciopero di tutti i tempi, altro che Lisistrata. Ma non è un obiettivo impossibile: dobbiamo vaccinarci, mangiare sano, bere molta acqua, fare esercizio fisico, guardare bene a destra e a sinistra prima di attraversare la strada, non passare sotto ai davanzali, non litigare con nessuno... Mi rendo conto delle difficoltà, dei sacrifici; ma dobbiamo resistere. Se sentite la morte sopraggiungere, o anche solo qualche anomalia (una palpitazione, un tremore) chiamate subito un medico; e sarà bene che tutti facciano un corso di primo soccorso per salvare la vita agli altri in caso di malaugurati incidenti, e che ciascuno di noi abbia sempre con sé una cassetta dei medicinali aggiornata e ben fornita, con tanto di ossigeno, defibrillatore e un bagnino. E se poi, malauguratamente, a qualcuno dovesse succedere di morire, occultiamo il corpo – come abbiamo già fatto tante volte con alcuni parenti anziani per continuare a prendere la pensione in famiglia. 

Vedrete che con un blocco permanente della morte le agenzie funebri, pur se ingrassate durante la pandemia, finiranno presto in ginocchio: alcuni chiuderanno, altri chiederanno aiuti allo stato, altri ancora si suicideranno (per cercare di aiutare il settore). La crisi della morte imporrà toni gravi, e i primi a chiedere serietà saranno proprio coloro i quali adesso ci scherzano sopra. Allora, e soltanto allora, potremo tirare le cuoia esalando un respiro di sollievo, l’ultimo. Solo così facendo la morte tornerà a essere un tabù, cioè qualcosa di divertente da infrangere.

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