ieri ricchi, oggi sani
Oggi il centro del mondo è la farmacia
Un tempo il vertice dell’ordine simbolico della nostra società era la banca. Adesso, con la pandemia, è cambiato tutto. Cronaca di una terza dose al centro di Roma
Un tempo le città erano un paesaggio di potere relativamente povero, si affidavano all’estro e all’arte e alla politica sociale, mancava il luccichio dell’imperio (o si dissimulava). Poi vennero le banche in dispiegamento diffuso, con le loro insegne, le loro caverne luminose, la loro importanza a petto della strada, la loro appetibilità. Grandi palazzi storici, costruzioni e architetture moderne, trionfo di design e di passerella, l’urbanesimo delle banche o della finanza prese piede tra eleganza, opulenza e kitsch. Prima che la chiudessero, ormai alcuni anni fa, perché la gloria del mondo transita veloce, ricordo la filiale del Montepaschi a New York: a un piano altissimo di un grattacielo su una grande avenue centrale c’erano gli uffici, ma che dico uffici, c’era un vasto spazio arredato tutto con le imitazioni delle pietre bicrome nello stile senese, la sfumatura di ocra faceva colpo, il bianco e nero stordiva l’occhio, sembrava di stare a un passo dal Duomo della Maestà di Duccio, invece ci si trastullava con la moneta spicciola.
Ora sono le farmacie. La dittatura sanitaria non solo si sente, una punturina e zac, via con il green pass in authcode, essa si vede e di primo acchito. Le prime due dosi erano negli hub, e lì è stato il meglio dell’universo ospedaliero e dell’organizzazione sanitaria, ma sono fabbriche di salute e politica, luoghi pubblici se mai ce ne siano, hanno il tratto della pianificazione di stato più che quello dell’evoluzione di società. Le farmacie no, sono centri di negozio essenzialmente privato, il camice professionale della dottoressa o del dottore copre concettualmente anche la distinta commessa o commesso del reparto di cosmesi, le farmacie d’oggi sono un trionfo della merceologia più sofisticata e costosa di qualunque super o ipermercato, competono con le più ardite boutique.
La terza dose la passa la farmacia. Che in una via di Roma, nemmeno una via di lusso, una importante via di quartiere della zona centrale, si presenta con tratti tipici di un grande e potente fascino. Nell’attesa niente affatto lunga del tuo turno di efficienza e ristoro tu vedi subito quanto è grande la farmacia storica che sostituisce la banca nel primato dell’ordine simbolico, quanto sono alti i soffitti e come sono ben disegnati se il palazzo ha un suo profilo di bellezza, quanto sono lucide e sapientemente istoriate le boiserie, curate le scaffalature, come sono maniacalmente ordinate le torrette di esposizione che mescolano rimedi e ritrovati medici con cibo di ogni tipo e giochi psicologici per cani, attrezzi per il sesso sicuro e presunto degli umani, gadget di ogni tipo e scuola, erbe, profumi e omeopatie, creme e altri agenti che ostacolano le intolleranze e le allergie sempre più numerose, e che confezioni, che prezzario, che organizzazione, mio Dio. Ogni etichetta scorta dal viandante vaccinaro assiso sullo sgabello comodo a godersi lo spettacolo è una dichiarazione di interventismo nelle vite degli altri e di potere privato al servizio del pubblico, ça va sans dire.
Intorno a te danza composto e paziente il personale, dalla cassiera molto professionale ai medici e farmacisti allo staff con le sue magliette in stile, ci sono angoli con sedute per l’attesa, belle vetrine di fulgida vetrinistica piena di maliziosi avvisi e richiami stile ads, e piccoli antri di una logistica accorta della vaccinazione dove ti senti il protagonista di una serie bianca, una serie sanitaria già al terzo episodio, fino al momento culmine BioNTech della fialetta estratta dal refrigerato e preparata per la tua spalluccia. Non mancano per il resto dettagliate caramelle per la tosse, sciroppi old fashion, apparati salvadenti e salvagengive, macchine salvavita per la pressione e molto altro, sospetto anche defibrillatori d’emergenza, per non parlare degli infiltratori di antidiabetici e cartelline applicabili di big data insulinici.
Se il mondo è marxianamente un immane ammasso di merci, il centro del mondo è la farmacia. Il datore di luci è chiaramente un tecnico di settore, uno che ha studiato e riproduce un modello cinematico di confortevolezza e chiarezza. Una volta la farmacia era un bancone, magari onorevolmente decorato, prima della presa del potere sanitario sulle nostre vite, e via. Ora no. È cambiato tutto. E se le banche moderne della grande ondata anni Ottanta dichiaravano che potevi essere ricco, bene così, le farmacie moderniste del ciclo pandemico dichiarano che potresti perfino essere sano.
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