il riscatto
Amanda Knox, ancora in cerca di se stessa ma preda dei media spregiudicati
L’epopea di “Foxy Knoxy”, da Meredith al podcast col marito. In mezzo, un libro sul suo caso giudiziario e una lotta per riaffermare la sua innocenza
Che fine ha fatto Amanda Knox, nota dalle nostre parti come “l’americana dagli occhi di ghiaccio” che giocò non s’è mai capito quale ruolo nell’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, a Perugia il 1° novembre 2007, 14 anni fa, quando entrambe ne avevano una ventina. Arrivano risposte dalla cover story del New York Times, Style Magazine, in cui Amanda appare con in braccio Eureka, figliola appena nata dal matrimonio con Christopher Robinson, uno scrittore delle sue parti, sposato l’anno scorso in un bizzarro “matrimonio a tema” – il tema era “fantascienza” e loro erano vestiti come personaggi di “Guerre Stellari”, o forse di “Dune”.
Ricercare Amanda può essere un buon modo per parlare di distanza, incomprensione e anche di dispetto, tutte evidenze e sensazioni emerse attorno alla complicata vicenda di Perugia e alla percezione che di essa si è avuta qui da noi e dall’altra parte dell’Atlantico, in particolare nelle terre remote del nord-ovest da cui viene lei e delle quali è un prodotto tipico quanto Bill Gates o Amazon. E infatti proprio a Seattle, anzi in un’isoletta, Vashon Island, connessa alla città dal vaporetto, che Amanda ha trovato rifugio, una volta che, come strilla la copertina del giornale, “è stata scagionata. Ma ciò non significa che è libera”, nell’epilogo della vicenda legale che l’ha travolta dal giorno del fermo, insieme all’allora fidanzato Raffaele Sollecito, e dopo quattro anni di galera e una devastante raffica processuale a singhiozzo, fino alla sentenza della Corte europea per i diritti del’uomo che ha stabilito che negli interrogatori ad Amanda non è stato offerto il necessario supporto legale e che le prove del Dna usate per condannarle erano farlocche.
Alla fine, dieci anni fa, Amanda è tornata in patria (sbarco dall’aereo in diretta tv), dove i rotocalchi l’avevano ribattezzata “Foxy Knoxy”, con un gusto altrettanto dubbio, a coronamento di una saga nel frattempo dilagata nei talk-show, sempre venata della vibrazione di dispetto e sospetto di cui dicevamo prima, con l’America che amministra la giustizia con apparente, scientifica equanimità – legata al fattore della disponibilità economica – messa a confronto scandalisticamente con l’irrazionalità italiana, coi poliziotti baffuti e maneschi, con l’incombente incubo di finire in un labirintico pasticcio. È la verità che ha prevalso in questa America appunto “lontana”, per quanto concerne la valutazione di quella notte nella favolistica “città medievale” di Perugia, le responsabilità dei personaggi coinvolti, il provvidenziale uomo nero Rudy Guede, i paparazzi, i reportage da strapazzo imbottiti di sensazionalismo, il voyeurismo sul rapporto tra Amanda e la biancheria intima, il palpabile brivido erotico sotteso alle cronache. A un certo punto il tormento è finito, le carte si sono ricomposte e Amanda è sparita. Salvo riemergere presto, per una motivazione tangibile: soldi, rifarsi una vita, rimontare il tempo perduto, cercare risarcimento. Ovvio il parallelismo con un’altra vicenda riapparsa di questi tempi, quella di Monica Lewinsky e del suo naufragio tra i marosi della celebrità istantanea.
Comunque l’idea di Amanda, sospinta dai suoi consiglieri, è stata di riconquistare una possibile serenità monetizzando la disavventura, al tempo stesso invocando il diritto di raccontare il proprio punto di vista. È arrivato un libro, con un anticipo da 3,8 milioni di dollari, con cui la famiglia Knox ha pagato gli avvocati e i mutui delle case, poi c’è stato un documentario e, una volta conosciuto il futuro marito, è nata l’idea di un podcast a quattro mani, “Labyrinths”. Adesso Amanda ha 34 anni, chi la conosce ne parla come di una donna naif e al tempo stesso enigmatica – confluenza non improbabile in quella stravagante culla della controcultura che è Seattle. Ancora una preda desiderabile per un’informazione priva di scrupoli, si tratti del rinfacciato sessismo dei media italiani o dell’occhiuto perbenismo di quelli americani, entrambi divorati da platee portate ad assecondare i pettegolezzi più che i fatti. E mentre gli anni passano, Amanda cerca la ricomposizione, sostiene la causa di chi finisce nelle sabbie mobili d’una detenzione immotivata e, più di ogni altro, coltiva il progetto di un incontro-confronto, ovviamente filmato e pre-venduto in tv, tra lei e Giuliano Mignini, che fu il suo accusatore processuale, secondo lei il suo persecutore, convinto della sua colpevolezza e del suo coinvolgimento in una tragedia a sfondo sessuale.
Pare che Amanda e Mignini, ora in pensione, abbiano iniziato una corrispondenza. Lui pubblicherà il suo libro sulla vicenda e si dice che non abbia cambiato opinione. Amanda spera d’incalzarlo e di ottenere la riabilitazione che invoca. Intanto continua a cercare il suo vero modo d’essere, sepolto com’è dalle rappresentazioni mediatiche che di lei sono state date. Per riprendere finalmente fiato – un anelito irrinunciabile, se nella tua vita hai avuto la ventura di finire in una psichedelia del genere, tra gli abbagli dei flash, le sbarre delle prigioni italiane, le facce di quei ragazzi che avevi appena conosciuto e che adesso si sfumano e si cancellano, come sogni.
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