Lotta contro la lotta? E bravo Jovanotti
Jova ha capito che l’ansia di lotta genera mostriciattoli, che nell’idea di lottare sempre su tutto per e contro tutto c’è qualcosa di patologico e illogico. Verrei anch’io al Beach Party
Non sarebbe decente andassi al Jova Beach Party del prossimo luglio a Lignano Sabbiadoro, ma questo Jovanotti ha la forza di un gigante dell’ideologia e della politica. La sua ultima trovata va molto al di là del cazzeggio gentile, una qualità del dj man, del musicista, dell’influencer che non ne vuole sapere di esserlo. Ha detto il mio nuovo guru che bisogna fare “la lotta contro la lotta”. E che cosa c’è da dire di più e di meglio?
Sotto diverse specie, la lotta è il fattore inquinante di più generazioni, l’equivoco futurista che ha generato un forte quoziente di imbecillità diffusa. Il principio mitizzante della lotta non ha avuto quasi niente di poetico, che era l’intenzione novecentesca dei novatori ostili al chiaro di luna, si è risolto in un bla bla odiosetto a copertura della mancanza di fantasia.
La lotta di classe era un affare serio, basato sull’anatomia a sfondo messianico dei rapporti di produzione capitalistici, è stata la gloria dell’Ottocento, tutte le altre lotte contro il potere, contro la mafia, contro la corruzione, contro la famiglia, contro il maschio, contro ogni forma di discriminazione, contro tutto e il contrario di tutto, furono baggianate controculturali di cui sono epigoni in occidente la cancel culture e il wokismo eccitato. Il potere va conosciuto, praticato, di volta in volta rispettato obbedito o contestato con i suoi stessi mezzi. Mafia e corruzione vanno irregimentate nella legge. Alla famiglia si debbono devozione amore e entro certi limiti obbedienza in autonomia e consapevolezza. Il maschio è natura e cultura, come la femmina, pari grado. Discriminare, quando non sia feticcio razzista o intolleranza, è una delle attività proprie della ragione e dell’intelletto, vale il famoso “discernere” dei gesuiti. La lotta contro cui chiama alla lotta Jova apparenta alla rinfusa costumi e concetti, comportamenti e ordinamenti naturali e sociali, che meritano di essere preservati dalla confusione babelica della lingua di lotta, oggi speditamente affluente nei social.
Jovanotti non mi sembra la banale figurina di un riformista della canzonetta, è molto di più. E’ un tipo di uomo e di artista che sente il moderno come una provocazione, dunque vuole capire, non si accontenta delle geremiadi contro lo hate speech, va alla radice, capisce che l’ansia di lotta genera mostriciattoli. Capisce che nell’idea di lottare sempre su tutto per e contro tutto, nello slancio goffo oltre la radice personale di ogni scelta, nella psicologia dello sciame ronzante, dell’impegno collettivo come assoluto divinizzato, oltre ogni dubbio, c’è qualcosa di patologico e di illogico. E lo capisce in virtù del suo sentimentalismo sognante, dell’ambiente meditativo e pulito di cui si circonda da quando con “è qui la festa?” lanciò lo strano grido edonista di quelli che la lotta non se la sono bevuta fino in fondo. Con quel grido Jova prefigurò gli approdi di oggi dei suoi Beach Party: si può essere elettrici, attivi, energici, perfino coraggiosi o audaci o temerari senza bisogno di consacrarsi all’idolo della lotta, addirittura nella felice contraddizione in termini della lotta contro la lotta. Che talento.
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