La neolingua
L'asterisco arriva in un liceo di Torino e la politica non può dividersi
La decisione, di per sé, non ha nulla di scandaloso. Più interessante analizzare l’iter della decisione, per capirne implicazioni e prospettive future
Matteo Salvini parla di “folle corsa verso il niente”, la deputata FdI Augusta Montaruli ventila l’ipotesi di scrivere al ministro Bianchi perché “esiste un modo per non discriminare senza storpiare l’italiano”. Alla decisione del liceo Cavour di Torino di utilizzare in tutti i documenti l’asterisco finale come segno grafico di plurale inclusivo, io avrei piuttosto reagito citando un intervento che l’eponimo tenne al Parlamento sabaudo nel 1851. “Tutti i sistemi ideati nei tempi moderni dagli intelletti più saggi e più audaci possono ridursi a due”, argomentò Cavour: “Gli uni hanno fede nel principio di libertà, del libero svolgimento dell’uomo morale e intellettuale. Un’altra scuola crede che le miserie dell’umanità non possano venir sollevate, se non con l’allargare smisuratamente l’azione del corpo morale complessivo”.
C’entra, e come, perché il classico più prestigioso di Torino ha preso la decisione di asteriscare i finali agendo come corpo morale complessivo, che esercita una primazia sul libero svolgimento dell’uomo morale e intellettuale: dettando insomma agli individui, tramite una norma burocratica, un principio etico che condiziona, con l’atto della scrittura, anche la struttura del pensiero. La decisione di per sé non ha nulla di scandaloso – pare fosse stata adottata anni fa da altre scuole nella stessa Torino ma non ce n’eravamo accorti o ce n’eravamo dimenticati subito – e francamente non è così grave; vale appunto tutt’al più un tweet svogliato, fra uno sugli sbarchi e uno sulla produzione dello zinco, oppure la minaccia di una lettera al ministero, che finirà per perdersi fra innumerevoli protocolli e granelli di polvere. Più interessante analizzare l’iter della decisione, per capirne implicazioni e prospettive future.
Ebbene l’asterisco, che già veniva utilizzato da singoli docenti particolarmente sensibili alla questione, è stato incorporato nel regolamento del liceo Cavour a seguito di una decisione del Consiglio d’Istituto, ossia dell’organismo forse più burocratico delle scuole italiane: un Cencelli incarnato che assegna quote bilanciate a docenti, studenti, genitori, personale. Non è una decisione calata dall’alto di una presidenza progressista, né un’alzata d’ingegno di studenti ribelli, ma l’opera di un organismo che dibatte di questioni appassionanti quali la liceità di ridurre di cinque minuti l’ora di lezione o la suddivisione dell’anno scolastico in quadrimestri o trimestri.
Niente in confronto al contesto didattico in cui la decisione è stata presa. Deriva infatti dall’adesione del liceo Cavour al progetto ministeriale “Noi siamo pari”: un calderone in cui oltre alla discriminazione di genere ribollono cyberbullismo, omofobia, razzismo, calendari plurireligiosi, esortazione alle materie scientifiche e sviluppo sostenibile, con l’immancabile hashtag #rispettaledifferenze, il tutto fondato su un piano nazionale finalizzato a promuovere competenze trasversali di educazione alla cittadinanza secondo linee guida monitorate da un osservatorio di cui fanno parte ottantanove enti (dal Moige all’Enfap della Regione Marche), con annessi corsi di aggiornamento per docenti, ampliamento dell’offerta formativa e protocolli d’intesa per ricevere finanziamenti PON se si include uno specifico PCTO nel PTOF dell’istituto.
Più corpo morale complessivo di così, si muore. L’inclusività grammaticale obbligatoria è un cascame della peggior burocrazia scolastica, un grigio vezzo da mezzemaniche, quindi è giusto che venga adottata in circolari abitualmente scritte in una neolingua che gronda di acronimi insolubili e perifrasi circonvolute; ulteriore obbligo da rispettare sbadigliando come infiniti che ammorbano le scuole, dal tot di ore di educazione civica nel primo quadrimestre ai turni di sorveglianza durante l’intervallo. Finché prima o poi gli studenti, annoiati, ricominceranno spontaneamente a scrivere in italiano lasciando ai singoli individui la facoltà di scegliere se e quando utilizzare un libero asterisco in libero stato.