Capri espiatori abbienti
La persecuzione dei ricchi, piaga dimenticata che affossa l'intera società
Uno studio storico e quantitativo dell’odio classista. Dalla Germania agli Stati Uniti, l'invidia sociale divampa un po' ovunque. Eppure c'è una lieta eccezione: i giovani italiani
In molti paesi del mondo, si sta alzando una marea crescente di pregiudizi e persino di odio contro i ricchi. Recentemente, dei dimostranti hanno eretto una ghigliottina davanti alla casa del fondatore di Amazon, Jeff Bezos, uno degli uomini più ricchi del mondo. La loro protesta è stata pensata con l’intento di richiamare la Rivoluzione francese, durante la quale i rivoluzionari usavano le ghigliottine per giustiziare gli aristocratici (e talvolta anche i loro stessi compagni d’armi). Nella mia città natale, Berlino, anche le manifestazioni “contro la città dei ricchi” erano promosse utilizzando immagini di ghigliottine, e sui manifesti e sugli striscioni era presente lo slogan: “Uccidi il tuo padrone di casa”.
Oggi siamo sensibili, e a volte anche qualcosa in più di “sensibili”, ai pregiudizi contro le minoranze. I ricchi sono forse l’unica minoranza contro la quale si ritiene accettabile spargere odio nei talk-show televisivi senza che nessuno si arrabbi. Ci sono molti studi accademici sui pregiudizi e gli stereotipi contro le minoranze, ma non ne è ancora stato realizzato uno che avesse come oggetto la minoranza costituita dalle persone facoltose.
Per questo, ho ritenuto opportuno cimentarmi io nell’impresa, realizzando il primo studio comparato a livello internazionale sui pregiudizi e gli stereotipi contro i ricchi. Ma che senso ha, vi chiederete, indagare gli atteggiamenti verso i membri più benestanti della società? I ricchi non sono dei privilegiati che conducono una vita fatta di lussi e comodità? Certo che sì. Da quali problemi sono allora afflitti? I ricchi non hanno preoccupazioni materiali e sono ampiamente ammirati, ma questo è solo un lato della medaglia: l’invidia e l’ostilità nei loro confronti rappresenta invece l’altro lato della medaglia.
Nel corso della storia, le minoranze che hanno avuto successo da un punto di vista economico sono state spesso (e lo sono tuttora) bersaglio di ostilità. Sfortunatamente, a volte le parole non rimangono parole, ma si tramutano in fatti. L’unico modo per impedire che parole d’odio diventino azioni d’odio è affrontare e combattere i pregiudizi, compresi quelli che prendono di mira le persone con grandi patrimoni. Anche se non è noto a tutti, recentemente (cioè nel corso del Ventesimo secolo) i ricchi non solo sono stati regolarmente bersaglio di ostilità, ma sono stati anche perseguitati e uccisi. C’è una storia non scritta di omicidi di massa, le cui vittime erano gruppi abbienti e “privilegiati” della società.
Nel suo libro “Ricchezza e povertà”, George Gilder scrive: “In ogni continente e in ogni epoca, i popoli che si sono distinti nel creare ricchezza sono stati vittima di alcune delle più grandi brutalità perpetrate dalla società. La storia recente ha visto, in Germania, l’Olocausto degli ebrei; in Russia, i pogrom dei kulaki e degli ebrei; nella Nigeria settentrionale, l’espulsione e il massacro dei membri di certe tribù; in Indonesia è avvenuta l’uccisione di quasi un milione di cinesi che vivevano in quel paese da secoli; nella stessa Cina, le furie delle Guardie Rosse si sono scagliate contro i ceti produttivi; in Uganda, ci sono stati massacri di bianchi e di indiani; in Tanzania, questi stessi gruppi sono invece stati espropriati ed espulsi; in Bangladesh, i membri della minoranza Bihari sono stati imprigionati o assassinati. E mentre gli anni Settanta volgevano al termine, gran parte del capitale umano ed economico di Cuba e del sud-est asiatico è fuggito da quei paesi su imbarcazioni di fortuna. In tutto il mondo si accumulano orrori e cadaveri, nella perenne lotta per liberarsi della minaccia costituita dai ricchi: banchieri, mercanti, commercianti, imprenditori…”.
In generale, le minoranze prese di mira sono state oggetto di pregiudizi molto prima di essere annientate o allontanate. Di solito erano stati considerati per lungo tempo dei “capri espiatori”, accusati di essere i responsabili per complessi sviluppi sociali che erano incomprensibili alla maggior parte delle persone. Durante le crisi sociali ed economiche, questo odio di lunga data è esploso in violente aggressioni contro queste minoranze che fungevano da capri espiatori. Anche se la maggioranza della popolazione non era direttamente coinvolta durante le persecuzioni e gli omicidi di massa, gli assassini erano sicuri che i più avrebbero distolto lo sguardo, preferendo far finta di non vedere gli atti brutali che avvenivano intorno a loro.
Naturalmente si tratta di esempi estremi. Eppure, tali azioni si sono verificate più spesso di quanto molti vogliano ammettere. Nella memoria collettiva, molti di questi eventi, come la campagna organizzata da Stalin per reprimere i kulaki, che costò la vita a circa 530/600 mila contadini ricchi, sono stati ampiamente sminuiti o addirittura ignorati.
Anche quando le persecuzioni non hanno raggiunto tali livelli, il risentimento generale verso i ricchi è stato dannoso per l’intera società. Per esempio, nella Svezia degli anni Settanta un’ondata di risentimento verso le persone più abbienti ha portato all’introduzione di tasse estremamente alte sui loro redditi e patrimoni. In uno straordinario articolo di giornale dell’epoca, la nota autrice di libri per bambini Astrid Lindgren calcolò che la pressione fiscale a cui era sottoposta aveva raggiunto il 102 per cento. Il risultato fu che, a quei tempi, molte persone facoltose lasciarono la Svezia, compreso Ingvar Kamprad, il fondatore di Ikea, che emigrò in Svizzera e divenne l’uomo più ricco d’Europa. Durante questo periodo, la politica fiscale svedese guidata dall’invidia danneggiò seriamente l’economia del paese.
Questi casi mostrano che i pregiudizi contro i ricchi non solo si ripercuotono negativamente su di loro, ma producono gravi danni a tutta la società. Se le persone non capiscono le vere cause delle crisi sociali ed economiche, o in generale degli eventi negativi, preferendo invece credere a spiegazioni semplicistiche e ricorrere all’individuazione di capri espiatori, diventa ancora più difficile trovare soluzioni reali a problemi molto concreti. Quando la politica economica è guidata dall’invidia sociale, questo può condurre a significativi cali di prosperità e impedire quelle riforme che invece sono estremamente necessarie per il benessere collettivo. E, in situazioni eccezionali, come durante gravi crisi o guerre, il pregiudizio portato alle sue estreme conseguenze può sfociare nella persecuzione o addirittura nell’annientamento degli strati più ricchi della società, mandando in frantumi sistemi sociali basati sulla libertà economica e dando invece vita a sistemi repressivi che di fatto generano povertà.
È quindi una buona notizia per l’Italia che gli italiani siano meno invidiosi nei confronti dei ricchi rispetto a francesi e tedeschi. Nel mio libro “Ricchi! Borghesi! Ancora pochi mesi! Come e perché condanniamo chi ha i soldi”, pubblicato pochi giorni fa dall’Istituto Bruno Leoni, ho analizzato l’invidia sociale in cinque paesi: Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia e Germania. Per realizzare questo libro, sono stati condotti dei sondaggi da Ipsos Mori che hanno fornito i dati per calcolare un “coefficiente di invidia sociale” per ciascuno di questi paesi. Più alto è il coefficiente di invidia sociale, maggiore è la porzione di persone, all’interno della popolazione di un paese, che provano astio verso i ricchi. I coefficienti di invidia sociale registrati in Francia e Germania (pari rispettivamente a 1,26 e 0,97) sono significativamente più alti di quelli riscontrati negli Stati Uniti (0,42) e nel Regno Unito (0,37). Con 0,62, il coefficiente di invidia sociale per l’Italia si pone a metà strada tra gli alti di Germania e Francia e i bassi coefficienti di Stati Uniti e Gran Bretagna.
Lo studio rivela anche che gli americani più giovani (tra i 16 e i 29 anni) sono molto più critici nei confronti dei ricchi rispetto ai loro connazionali più anziani. Persino la rozza accusa secondo cui i ricchi sarebbero bravi a fare soldi ma, da un punto di vista umano ed etico, non sarebbero persone rispettabili ottiene l’approvazione del 40 per cento degli americani più giovani (solo il 23 per cento non è d’accordo). Gli americani più anziani (oltre i 60 anni), invece, hanno un’opinione molto diversa: solo il 15 per cento è d’accordo, mentre il 50 per cento rifiuta categoricamente questo giudizio.
In Italia accade il contrario: i giovani hanno una visione molto più positiva dei ricchi rispetto agli italiani più anziani. Come detto, la media per l’Italia nel suo complesso è di 0,62. Per gli italiani più giovani, il “coefficiente di invidia sociale” è addirittura di 0,31, mentre per gli italiani più anziani sale fino a posizionarsi al livello di 1,32. L’atteggiamento dei giovani italiani è pertanto motivo di ottimismo. Dovremmo sempre sottoporre a una seria analisi critica ogni singolo aspetto degli stereotipi e dei pregiudizi rivolti alle minoranze, indipendentemente dal tipo di minoranza di cui si parli.
Politicamente corretto e panettone
L'immancabile ritorno di “Una poltrona per due” risveglia i wokisti indignati
Una luce dietro il rischio