"L'Italia sta meglio perché è più umana". Fanta-teoria filosofica di Donatella Di Cesare
Critiche non richieste alla filosofa della Sapienza. Perché dire che la risposta italiana alla pandemia è stata migliore grazie alla "tradizione umanistica e al lascito di umanità" del nostro paese è una fantasia
Donatella Di Cesare lo spiega bene che le parole hanno un peso, e nel suo articolo comparso stamattina su La Stampa (“Cacciari e Agamben. La china rovinosa”) ai due filosofi di parole pesanti ne rivolge parecchie. Inutile entrare nel merito di questioni fruste, di detti ridetti e fritti rifritti. Al di là di come la si pensi, l’isola filosofica è ormai cinta in un mare di nervi. Si agitano e si rispondono tra loro e ciascuno spiega all’altro cos’è davvero questo famigerato amore per il sapere, ciascuno spiega – e ciascuno a modo suo – come e perché la democrazia sarebbe in crisi… E tocca dire che forse senza i due filosofoni, senza Cacciari e senza Agamben, inesauste fonti di spunti, quella stessa cascata di nervi sarebbe una palude di noia e quietismo. Invece ci sono i due tafani, che assieme a Freccero e Mattei hanno dato appuntamento all’International University College of Turin per mettere in piedi una “Commissione del dubbio e della precauzione”.
Di tutto il lungo commento apparso stamane quello che colpisce e smentisce la severità della teoreta romana è il finale. Si tratta di una chiusa a metà fra l’humanitas terenziana e le spremute di umanità dibattistiane (nel senso di Alessandro Di Battista). Un explicit che suona così: “Se l’Italia ha risposto molto meglio di altri alla pandemia è grazie alla tradizione umanistica e al suo lascito di umanità”. Al netto della presunta e maggiormente efficiente risposta alla pandemia (l’Italia ha risposto meglio in che senso? secondo quali parametri? e rispetto a chi?), quello che scuote davvero è l’appiglio al buon cuore nostrano. Sorvolando sul fatto che i vaccini sono un prodotto del progresso scientifico e non della tradizione umanistica, tanto ingiustamente vituperata quanto banalmente tirata in ballo da chiunque abbia un dottorato filosofico-letterario, è la parola “umanità” che denota la radice magica del pensiero dicesariano. Umanità è una parola molto pesante, visto che le parole hanno appunto un peso specifico. Ha una storia antichissima. Giambattista Vico lo ricordava scrivendo che “l’Umanità ebbe cominciamento dall’humare, seppellire”. È la parola-chiave della civiltà. E come tutte le parole maestose, vaste, forti (prendi “Bene”, “Vero”, “Giusto”…) vuol dir tutto e vuol dir niente. Humanitas è un sostantivo sospetto e astratto, diceva ancora Miguel De Unamuno. E nel caso in questione questa parola sospetta sembra tradire una devozione alla religione del cuore che poco a che fare con il rigore analitico.
Insomma, non è che si può rinfacciare ai colleghi scarsa integrità filosofica, pallido raziocinio, facile scetticismo, e suggellare il rimprovero con un’altra capovolta fanta-teorica: l’Italia sta meglio perché è più umana. Bene, allora facciamo che per essere più buoni, paciocconi, amiconi, in vista della terza dose e del Santo Natale contiamo di farci inoculare non Pfizer, non Astrazeneca, non Moderna, ma le dibattistiane, dicesariane, favolose spremute di umanità.