L'ultima sigaretta: qualche nota a margine sul divieto di fumo in “Noia Zelanda”
C'è il rischio che l’ideologia sanitaria schiacci la libertà del vivere. Nel mondo dorato, prossimo venturo, della Sanità, vivremo insieme, stronger together, e finiremo per eliminare ciò che è proprio dell’uno e dell’altro
Vero che il grande e compianto Mario D’Urso la chiamava Noia Zelanda, e con questo forse aveva detto tutto. Ma questa storia della legislazione che vieta a vita il tabacco ai nati dopo il 2008, dico a vita, e ne rarifica la vendita per tutti riducendo da subito, drasticamente, il numero degli spacci, questa storia va perfino oltre la noia, che di per sé fa peccato mortale. Parrebbe una faccenda di nostalgia per generazioni che hanno liberamente scelto di farsi dipendenti dalla sigaretta o dal sigaro o dalla fastidiosa pipa. E’ di più, è un altro campanello d’allarme sulle nozioni di società e di stato.
Può ben essere che nel liberalismo individualista sia una quantità imprecisata di falsa coscienza, di ideologia, e ce ne accorgiamo quando di fronte a una emergenza sanitaria, l’incolpevole vulnerabilità da virus patogeno nato da un salto di specie, i diritti traballano, l’autorità prende la guida delle cose, ti restringe, ti seleziona, ti obbliga direttamente o indirettamente a non facilitare la vita a un nemico comune che riguarda tutti indiscriminatamente.
Chi incita al dubbio e alla precauzione contro l’emergenza ha le sue ragioni, ovvio, ma giustamente, visti gli argomenti impiegati per la rivolta libertaria, una ragionevole Donatella Di Cesare sulla Stampa si domanda non da dove escano certe fesserie complottiste, di quello c’è poco da discutere, ma quale ne sia la radice filosofica, di dove venga il banale e squinternato pensiero nichilista che le sostiene. Qui però, in Noia Zelanda, è diverso: non un virus, ma una scelta, un piacere minimo e irrinunciabile per molti o anche per uno solo, ecco, diventa pratica illegale per decisione dello stato. Decisione legislativa ordinaria, impegno e divieto concernenti le coscienze dei singoli, tutt’altro che uno stato di emergenza, per non dire del fantasma schmittiano impropriamente evocato dello stato d’eccezione. La forza di un’ideologia sanitaria contro la debole libertà del vivere.
C’è del metodo in questa follia. Lo stato che ti protegge dalla culla alla tomba esige la riduzione dei costi, materiali e sopra tutto morali: si comincia col fumo, si finirà con altri vizi capitali, ci si vedrà ispezionati nelle abitudini, saranno aggredite la gola e la lussuria, a occhio e croce dovrà essere messo in discussione il carattere individuale, il nanny state si farà psicologo e medico e maestro di scuola per tutti ben oltre l’orizzonte pur sempre limitato di un regime di pandemia. Gli individui saranno parte di una totalità indivisa e con questo la vittoria del premoderno sul postmoderno sarà appunto totale. Già la Cristianità è soppiantata dall’Ambientalismo, e dovremo scontare una lunga teoria di prezzi, gabelle, esazioni, costrizioni sull’altare regressivo della salvezza della madre Terra; ma sarà nulla in confronto al mondo dorato della Sanità, là dove si vive insieme, stronger together, per eliminare ciò che è proprio dell’uno e dell’altro. Compreso il fil di fumo di una sigaretta che si spegnerà come una stella morta, ingurgitata dal buco nero della stupidità umana, della vanità umana, della credulità disumana di un sistema totalitario che nemmeno sa bene di esserlo.
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