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Saverio ma giusto

Chi solleva il problema delle toilette "genderless" è mai entrato in un bagno pubblico?

Saverio Raimondo

Nel mondo reale non si va nel bagno dei maschi o delle femmine, ma in quello libero – e, se sono liberi entrambi, in quello più pulito. Detto questo, l’Università di Pisa, nell’accogliere la richiesta, si è impegnata a realizzarli "entro giugno 2022". Sei mesi per cambiare una porta?

Di tutte le crociate contemporanee, quella che mi appassiona di più è quella per il cesso inclusivo. Si tratta di un movimento transnazionale che protesta (nelle università come negli uffici e spazi pubblici) contro la divisione dei wc in “maschi” e “femmine”, giudicata discriminatoria nei confronti di chi non rientra o non ritiene di rientrare in nessuna delle due categorie fisiologiche ma a cui fisiologicamente scappa di fare pipì; e chiedono pertanto bagni “no-gender”. Un tempo si lottava per cambiare il mondo; oggi, più prosaicamente, il gabinetto. Ci tengo a precisare che, da persona perennemente a disagio quale sono, solidarizzo sempre con chi non è a proprio agio; figuriamoci poi se l’oggetto del contendere sono i bagni pubblici, veri e propri stress test per uno schizzinoso come me, estremamente pudico e igienista radicalizzato. Da sempre evito le toilette come la morte, con un controllo degli sfinteri a livello agonistico – è così che mi sono fatto gli addominali a tartaruga; ma passando gran parte del mio tempo fuori casa, finisco inevitabilmente con il frequentare i bagni dei bar, dei ristoranti, dei treni – se non altro per lavarmi le mani. Quindi conosco bene il disagio da bagno pubblico; ma ammetto che, fra le tante cause (dalla carestia di carta igienica agli asciugamani elettrici che si accendono solo se balli la macarena sotto la loro fotocellula, per non parlare di tutti quei bagni dove non c’è la chiave), ritenevo il sesso dell’iconcina sulla porta l’ultimo dei problemi.

Sarà che sono un maschio bianco etero cis; ma ho il dubbio che chi ha sollevato il problema dei bagni “neutri” non abbia mai messo piede in un bagno pubblico (per lo meno qui in Italia); perché nel mondo reale non si va nel bagno dei maschi o delle femmine, ma in quello libero – e, se sono liberi entrambi, in quello più pulito. O, se non c’è il bagno, dietro una siepe. O, se siete come me, ve la tenete e aspettate di arrivare a casa. A scanso di equivoci: ritengo il riconoscimento dei diritti giusto e sacrosanto, e più in generale è sempre una buona idea tutto ciò che può rendere migliore l’esperienza qui sul pianeta Terra anche solo a qualcuno fra noi; ma davvero abbiamo bisogno di sentirci rappresentati sulla porta del cesso? Non sarà che, come diceva Woody Allen sdraiato sul divano in “Manhattan”, ci creiamo continuamente dei problemi inutili e nevrotici perché questo ci evita di affrontare problemi ben più insolubili e terribili?

Detto questo, ben venga la riforma dei servizi igienici; nulla in contrario, che non si dica che. Ma farei notare che se le domanda di cambiamento in questione appare piuttosto ridicola, la risposta non è da meno: l’Università di Pisa, nell’accogliere la richiesta di bagni “genderless”, si è impegnata a realizzarli “entro giugno 2022”. Sei mesi per cambiare una porta? Perché di questo si tratta: di qualunque sesso sia o si senta di essere la persona che entra in bagno, sempre di un water e di un lavandino avrà bisogno; non serve mica fare lavori all’impianto idraulico o ai sanitari – salvo l’Università di Pisa non abbia i bagni alla turca, soluzione ripugnante che persino noi maschi abbiamo sempre detestato perché ci schizzavamo sulle scarpe. A me sembra che noi esseri umani, di fronte a questi nuovi orizzonti che noi stessi ci stiamo ponendo, siamo del tutto inadeguati, assolutamente non in grado né di dire né di fare nulla d’intelligente o sensato. Forse l’unico bagno che ci meritiamo veramente è quello per i disabili: è lì che tutti, nessun* esclus*, dovremmo andare a cagare.

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