Il potere inquietante del carino
Come i Ferragnez fanno digerire il lusso agli italiani
Lo sfarzo degli influencer è l’unico accettabile perché sdogana il burino. Non c’è gusto, non c’è stile, ma un accumulo vistoso e disordinato di brand. Che ne è del nostro proverbiale risentimento?
Vi ricordate quando bastava un video della casa comprata a Los Angeles (nel frattempo rivenduta per investire a Milano) per sollevare tutto un risentimento furioso contro i Ferragnez? “Vergognatevi”; “Siete uno schiaffo alla miseria”; “La gente non arriva a fine mese” e tutto il repertorio classico che conosciamo. Altri tempi. Oggi seguiamo con una certa apprensione la loro fuga anticipata da St. Moritz dopo i primi sintomi influenzali. Ci appassioniamo alla quarantena a City Life, ai problemi per un Capodanno senza neve e in tono minore. Video e servizi su Ansa, Corriere, Repubblica, SkyTg24, TgCom24 (“Dalle mascherine in casa ai giochi, ecco come stanno i Ferragnez”). Non ci scomponiamo più per il conto al Badrutt’s Palace Hotel e sgranocchiamo i popcorn davanti ai loro sfavillanti regali di Natale: “Grazie al mio amore per questo anello di diamanti e grazie alla mie sorelle per un altro anello di oro e diamanti”. E giù lacrime, abbracci, lucciconi agli occhi. Se la loro vita in streaming è una nuova “Casa Vianello” (più glamour, ma ugualmente nazional-popolare), se nel frattempo sono persino diventati “simpatici”, resta incredibile come abbiano fatto a far digerire la ricchezza e il lusso a un paese fondato sull’invidia sociale. Che ne è del nostro proverbiale risentimento? Dove sono la redistribuzione, le diseguaglianze, la patrimoniale? Dov’è l’Italia che sbranava Agnese Renzi per uno smanicato di cachemire intravisto in una foto mentre il marito si dimetteva (e che i Ferragnez regalerebbero al massimo alla filippina)? Qualche ipotesi. Il lusso degli influencer è l’unico accettabile perché è un lusso che sdogana il burino. Non c’è gusto, non c’è stile, ma un accumulo vistoso e disordinato di brand. Dentro casa i Ferragnez sono come la maggior parte di noi se avesse un sacco di soldi da spendere, dunque torrette di bauli Louis Vuitton usati come credenze, finte nevicate, Fedez in ciabatte, pseudo Warhol alle pareti.
Una ricchezza di prossimità dove Instagram è il “Capital” dei parvenu. Poi c’è il cuore dell’algoritmo italiano. Il lusso si perdona solo se shakerato con la sensibilità civile “progressista”: femminismo, diritti sparsi, antagonismo da primo maggio, donazioni. Tutte cose impensabili per i Ferragnez prima maniera, ma indispensabili per farsi accettare in prima serata, come i nuovi Montalbano o Don Matteo. Infine c’è il “potere inquietante del carino”, come lo chiama Simon May in The power of cut (appena tradotto in italiano) e come ripete sempre nelle stories la Ferragni (“ma quanto siamo cute?”). Un’“arma di seduzione di massa”, il volto del kitsch nell’epoca dei social che annulla i conflitti e trasforma la vita dei Ferragnez in un tutorial sull’accettazione del lusso. Un lusso democratico, instagrammabile, burino. Insomma, non abbiamo ancora abolito la povertà, ma intanto stiamo venendo a patti con la ricchezza. È già qualcosa.