scandalo reale
C'è solo una strategia per gli avvocati del principe Andrew: non farlo parlare
Nel sex-gate che da anni imbarazza la corona inglese, sorprende la linea difensiva intrapresa dal terzogenito di Elisabetta che rifugge ogni confronto con i magistrati
Con una linea difensiva così, il principe Andrew non avrebbe neppure bisogno dei giudici: al di là delle dichiarazioni di innocenza, rifuggire ogni collaborazione o spiegazione chiara, punto per punto, non gli fa certo onore. Ma evidentemente non si può rischiare di vederlo deporre in tribunale sotto giuramento, e quindi tanto vale, per gli avvocati, cercare di nascondere il duca di York nella poco principesca (ma ben frequentata) schiera dei “potenziali imputati” verso i quali, in base a un accordo del 2009, Virginia Roberts Giuffre, costretta da minorenne ad avere rapporti con uomini ricchi e potenti, rinunciava a fare cause future in cambio di mezzo milione di dollari versati da Jeffrey Epstein.
Ieri il team di avvocati di Andrew ha avuto un incontro in videoconferenza con il giudice di New York Lewis Kaplan, che aveva promesso una decisione “molto presto” sulla possibilità di procedere con la causa legale depositata da Giuffre il 9 agosto scorso. Vista la complessità della faccenda, la riunione è andata avanti molto più del previsto. E pazienza se da un punto di vista della comunicazione e delle pubbliche relazioni non solo personali, ma dell’intera famiglia reale, è un disastro: l’alternativa deve essere evidentemente molto, molto peggiore.
Perché un punto indiscutibile, nella squallida vicenda dei rapporti tra il principe Andrea e la coppia Jeffrey Epstein-Ghislaine Maxwell, è che il terzogenito di Elisabetta non deve aprire bocca perché rischia di fare danni enormi. La via della trasparenza, già percorsa con l’intervista a una famelica Emily Maitlis della Bbc, ha portato risultati catastrofici, con un’imbarazzante assenza di empatia nei confronti di chi racconta di aver subìto molestie sessuali e racconti inverosimili che sono già diventati leggende nell’immaginario collettivo come la festicciola di sabato pomeriggio in un Pizza Express di Woking, paesino alle porte di Londra, o la misteriosa malattia, non certificata da nessun medico, che fa sì che il principe non possa assolutamente aver sudato profusamente addosso alla giovanissima Roberts in una discoteca di Londra il 10 marzo del 2001.
Con Epstein ormai morto da tempo e la sua ex compagna, procacciatrice di ragazzine e cara amica di Andrew, Ghislaine Maxwell, in carcere con una condanna pesantissima, ora il duca di York è nel mirino da solo, Virginia Giuffre non perdona quei rapporti avuti quando aveva solo 17 anni e il principe, a suo avviso, era perfettamente consapevole del suo essere solo una minorenne fragile nelle mani della coppia criminale. Aggressioni, nel numero di tre, prima dei 18 anni.
La prima a Londra, dopo un’uscita in un club dove era stata portata dalla solerte Ghislaine Maxwell ed esortata “a fare per Andrew quello che facevo per Epstein”: il rapporto è avvenuto nella casa di Maxwell, a Belgravia. Il secondo nella faraonica abitazione newyorkese di Epstein e il terzo sull’isola privata del finanziere.
Da tempo il profilo reale di Andrew si è molto ridimensionato – sorprende che abbia ancora qualche carica dalla quale dimettersi – ma è lo stesso Telegraph, conservatore e monarchico, a far presente che è Elisabetta a pagare le cospicue parcelle del team legale del figlio prediletto e di certo sarebbe un bel problema se le casse reali, dove il denaro pubblico e quello privato sono sempre difficili da distinguere, dovessero servire a pagare un risarcimento in un vergognoso caso di pedofilia.
Sempre dall’area conservatrice, lo Spectator suggerisce un cambio di strategia a favore della trasparenza. Epstein nel 2009 aveva generosamente cercato di proteggere i suoi amici da eventuali cause future, ma nelle dodici pagine di accordo raggiunto con Giuffre era stata scelta la dicitura vaga di “potenziale imputato”, senza fare nomi o precisare qualcosa di più specifico come “royalties”, come se fosse normale per un principe trovarsi potenzialmente sul banco degli imputati e, soprattutto, non volersi difendere.
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