Oggi ho settant'anni e il privilegio di non ricordare quasi niente
Considerazioni di stagione tra cose salde, cani e scelte illusioni. Con la consolazione delle giornate corte
Oggi ho settant’anni e il privilegio di non ricordare quasi niente. Vivo ascoltando musica su Channel 3 e dalla Digital Concert Hall dei Berliner, leggo buoni libri, scrivo per il giornale quasi tutti i giorni, parlo al telefono con il direttore più bravo e più allegro del mondo, Mariarosa Mancuso mi ha introdotto al vecchio circuito di piccola mafia dei “Sopranos”, e li ho aggiunti a film e serie di varia natura, seguo incantato lo sport, calcio e tennis, passeggio con i cani e s’accoppia la mia cucciola nei giochi a un clamoroso fidanzato residente dai miei vicini Marcenaro, passo l’aspirapolvere e lo straccio, solo perché al momento la servitù mi ha mollato per ferie, molto isolamento né penoso né splendido, poca mascherina, niente tamponi, paesaggi che mi sono congeniali, com’era per Dorothea Brooke dei dintorni di Middlemarch, un matrimonio di trentaquattro anni e l’amore, che è il suo bel complemento, qualche amico, messaggini e la consolazione delle giornate corte, con il buio che raccoglie come un fumo purgatoriale e aiuta nella campagna a distinguere le luci dei paesi collinari, e naturalmente obbliga a trattare le nuvole annottate come cose salde, sicché si danteggia scherzosi e ispirati, e considero le aurore quando mi sveglio presto, quasi sempre, e sì, bisogna confessarlo, anche le stelle.
Non pensavo di finire nella normalità, nel gusto del dettaglio, nella natura di stagione con rapide incursioni nella mia città di lunga durata, percorrendo ogni giorno la strada di ieri come un elegiaco in ritardo sugli appuntamenti, pieno di tempo da dissipare. Non pensavo che l’evaporazione delle passioni e della bella energia, dell’ala della tristezza giovanile, non pensavo potessero approdare alla tranquillità dell’animo, a una moralità di gregge che nelle polemiche del giorno consiglio agli interpreti titanici del mondo, gli emmerdeur. Al Partito comunista avevo strappato, in osservanza a una buona e cara educazione famigliare, la sua carica di errore, di violenza, di trascinamento e onore, “difendere il partito da ogni attacco” era l’articolo dello statuto stampato sul retro della tessera che più mi inquietava e piaceva, breve, definitivo, ardente e chiaro come la luce del sole. Poi venne l’impudenza di tramare contro la mia gioventù, perfino di disprezzarla un poco e dimenticarla, e sono cose assurde ma appartengono al possibile e le consiglio con calore a tutti. Certi complotti riescono al fine che si danno, e il congiurato ne esce perfino vivo.
Ovviamente sono circondato dai morti. Me ne curo e dolgo, spesso ne scrivo per onorarli, amarli, ma non era in preventivo l’alluvione delle eulogie, quando fondammo un giornalino vitale che invecchia bene. Però vivo in compagnia di Orazio, quel vile fuggitivo di Filippi, nel mio cenotafio di provincia, monumento picciolo ma sepoltura ancora vuota, e ne sono stolidamente e insensibilmente contento. Quando Röselein abbaia con il suo vocione di baritono basso so che il suo Lied è per ricordarmi che ho una specie di vitalità ancora da spendere, e la vecchietta Monkey, rauca, di rincalzo. Un paio di volte a settimana gioco a scopa via computer con i compagni d’avventura di ieri, loro nello schermo vedono le francesi, io prediligo le napoletane, ciò che è tecnicamente possibile perché ciascuno adopera l’illusione che si è scelto.