l'analisi
Demografia e geografia. Come abitare l'altezza
Un bel paese di monti, colline e poca pianura che va spopolandosi. Poco più di sette milioni di italiani vivono oggi in montagna: favoriti i borghi più alti, anche perché è cambiato il turismo
È ancora possibile nel mondo moderno, in una popolazione che perde pezzi come quella italiana abitare l’altezza? Abitare in alto? Che ci siano comuni e abitanti in alto, anche molto in alto, è pleonastico dire. Non di questo si discute. Semmai di chi e quanti e ancora sono quelli disposti ad abitare l’altezza, i monti, al tempo d’oggi e nel domani che procede spedito verso lo spopolamento del paese.
Gli italiani sono stati in certo senso costretti a perfezionarsi in questa “arte” di salire in alto e abitare l’altezza visto che i 302.073 kmq del territorio nazionale sono così ripartiti: territorio montano 35,2 per cento, territorio collinare 41,7 per cento, pianura 23,1 per cento. Più di un terzo di territorio montano contro meno di un quarto di territorio di pianura: difficile trovare un paese dal territorio altimetricamente shakerato come quello italiano, la prevalenza della pianura essendo la regola, o quasi, in tutta Europa. Da noi la pianura arriva buona ultima.
C’è stato un lungo tempo in cui la pianura era malsana, palude. La scelta logica, di fronte a questa realtà, era salire
E gli abitanti? Come si distribuiscono secondo il gradiente pianura-montagna? E quali tendenze seguono, nel loro abitare?
C’è stato un lungo tempo, secoli, in cui la pianura era malsana, palude, acquitrino, e suddivisa tra grandi latifondi e latifondisti. La scelta logica, di fronte a questa realtà, era salire. Gli italiani, come assecondando la conformazione fisica dell’Italia, quella scelta l’hanno fatta perfino più di ogni altro popolo europeo. Insomma, siamo saliti, individui e comunità, anche inseguiti da persecuzioni oltre che malattie e miserie, e pure inseguendo a nostra volta sogni di affari frontalieri. Abbiamo percorso per secoli la via dei monti e, insieme, quella della pervasiva, universale, onnipresente collina interna. In altre parole: la montagna si è ben popolata prima che la modernità (ciascun lettore rivesta pure il termine coi caratteri che gli sembrano più appropriati) cominciasse a esigere che si scendesse per avere più chance, genericamente parlando, di successo – che non necessariamente coincide con una migliore qualità della vita.
Per venire al sodo: al censimento del 1951, il primo dopo la guerra, la montagna era abitata da 8 milioni e 323 mila abitanti, che rappresentavano il 17,5 per cento degli allora 47 milioni e 515 mila italiani, oggi sono meno di 7,3 milioni, oltre un milione in meno, ma nel frattempo la popolazione è salita a 59,1 milioni, dopo aver sfiorato i 61 milioni nel 2014, cosicché gli abitanti della montagna rappresentano oggi poco più del 12 per cento. Una tenuta dignitosa, potremmo concludere. Poteva andare peggio, questo è certo. Non è certo, invece, se poteva andare meglio, perché le direttrici di marcia degli abitanti si sono invertite e da qualche decennio puntano ben più che a salire a ridiscendere da dove si erano prima arrampicati.
Oggi per ogni italiano che abita la montagna quattro abitano la pianura. Nel 1951 il rapporto era uno a due
Nel 1951 per ogni italiano che abitava in montagna appena due abitavano in pianura, oggi per ogni italiano che abita la montagna quattro abitano la pianura. Detto così può sembrare che il rapporto di un abitante a quattro tra montagna e pianura sia ancora piuttosto favorevole alla montagna. In effetti quando parliamo di montagna è proprio alle montagne che corre il pensiero, e meglio ancora alle alte montagne, paesaggi innevati per molti mesi l’anno. Abitarci? Viverci? Roba da gente forte, rude, solitaria, amante del pericolo e della vita a contatto con una per niente complimentosa natura. Ma la definizione di montagna dell’Istat è assai più alla portata di mano e inclusiva: è montagna oltre i 600 metri di altezza, non importa arrivare ai duemila e neppure ai mille metri, 600 già bastano – almeno al nord, dove il paesaggio è più alpino e duro ed esteso in catene montuose, perché al sud ne occorrono 700, di metri, cento di più, per essere montagna.
C’è n’è di gente che può vivere a quelle altezze senza avere la vocazione dello stambecco, essendo terragna, pacifica e nient’affatto avventurosa.
Ciò detto mentre tra il 1951 e oggi la popolazione italiana aumenta di 12 milioni, la montagna arretra di 1,1 milioni di abitanti, la collina ne guadagna 3,8, la pianura quasi 9,4. La direzione non è confutabile: scendere per un verso, addensarsi in pianura per l’altro. E, senz’altro, come popolazione italiana nel suo complesso, non salire più nemmeno di un centimetro. Quel che è stato è stato, i tempi sono cambiati, il 1951 segna l’apice del popolamento della montagna, dei secoli e secoli che ci avevano portati fin lassù in più di 8,3 milioni.
Dopodiché discendere e addensarsi nella risicata pianura, dunque. Dove l’addensarsi, occorre precisare, ben più che nutrirsi degli abitanti della montagna si giova di una più vivace dinamica demografica della pianura: è qui che si nasce di più, mentre i flussi migratori in entrata via via da rigagnolo si fanno fiume. I destini tra l’abitare in alto e l’abitare in basso divergono anche perché quanti arrivano da fuori Italia per salire non hanno né le convenienze esistenziali né le predisposizioni storiche e genetiche.
Coi suoi 59,1 milioni di abitanti in 302 mila kmq di superficie l’Italia vanta una densità abitativa di 196 abitanti per kmq. In Europa veniamo tra i grandi paesi dopo il Regno Unito e la Germania, che non ci sopravanzano di molto, ma molto prima di Francia e Spagna. L’Unione Europea ha una densità di 109 abitanti a kmq, poco più della metà della nostra. Insomma, siamo quel che si può definire un paese densamente popolato. Ma destinato a perdere abitanti a rotta di collo fino a precipitare a 47,5 milioni nel 2070, 12 milioni in meno di oggi (e tanti quanti quelli del censimento del 1951) e secondo previsioni della Population Division dell’Onu – che peraltro non sono affatto le peggiori – sotto la soglia dei 40 milioni alla fine del secolo. Chi farà le spese dello spopolamento?
I numeri dicono che la densità attuale non arriva a 60 abitanti per kmq nelle aree della montagna, supera di poco i 150 in quelle della collina interna per culminare nei quasi 420 abitanti per kmq in quelle di pianura. In pianura dunque la densità abitativa è quasi tre volte quella della collina e oltre sette volte la densità della montagna. Detto in termini più precisi: nello spazio in cui in montagna abita una persona, in pianura di persone ce ne stanno 7,2. Certo, queste sono disparità che stanno nell’ordine delle cose giacché, per dirla in termini generalissimi, la pianura si presta a essere densamente abitata, meno la collina, per niente la montagna. Ma non è solo predisposizione a un diverso popolamento, sono anche i tempi moderni con la rivoluzione dei trasporti – e l’intensità di manifattura e commerci e traffici e affari che quella rivoluzione si è portata dietro – che hanno così profondamente premiato la pianura a scapito della montagna. Nel 1951 nello spazio in cui in montagna abitava una persona in pianura di persone ne abitano 3,6 – la metà esatta delle 7,2 che ci sono oggi. Così la tenuta della montagna – una montagna, ripetiamolo, che al nord “comincia” già dai 600 metri – è stata dignitosa, ma il divario nel popolamento si è fatto abissale.
L’Italia è diventata negli ultimi quattro decenni forse il paese a più bassa intensità di famiglia d’Europa
Ma allora, gli italiani sanno abitare ancora l’altezza, la montagna, o no? Non si tratta di un interrogativo facile. La risposta è: dipende. Vediamo perché.
L’Istat tra le sue statistiche ha pure quella dell’altezza dei comuni sul livello del mare, per convenzione stabilita uguale all’altezza della sede amministrativa del comune. Chiaro che non tutti gli abitanti dei comuni vivono alla stessa altezza della sede comunale che normalmente è situata in posizione più agevole, e dunque più in basso, anche di parecchio, rispetto all’estensione dell’intero abitato, ma come approssimazione per i nostri scopi può andare. Bene, ci sono 282 comuni con sede comunale oltre i 1.000 metri. Hanno una superficie media di quasi 63 kmq, molto più estesa della superficie media di 38 kmq dei 7.904 comuni italiani – e questo si capisce, trattandosi in buona parte di superficie montuosa boschiva disabitata – ma una media di abitanti di appena 1.346 ch’è poco più di un sesto della media di circa 7.500 abitanti a comune italiano – e ovviamente anche questo, a maggior ragione, si capisce, trattandosi di alta montagna.
Ora, questi comuni che sono i più alti in assoluto perdono nel periodo che va dal censimento del 2011 alla fine del 2019, prima che la pandemia prendesse a falsare il movimento naturale della popolazione (nati-morti), il 19 per mille dei 387 mila abitanti che avevano nel 2011, pari in cifre assolute a poco meno di 7.500 abitanti. Ed è qui il punto.
Perché tra i 700 metri (dove per l’Istat inizia la montagna anche al sud) e i 1.000 metri si trovano ben 763 comuni che nello stesso periodo di tempo perdono oltre 64 mila dei circa un milione e mezzo di abitanti che avevano al 2011, pari a una diminuzione del 43 per mille ch’è molto più del doppio di quella dei comuni oltre i 1.000 metri. La migliore tenuta di questi ultimi comuni vale anche nei confronti dei comuni tra i 500 e i 700 metri che perdono il 40 per mille nello stesso intervallo di tempo, a loro volta il doppio di quello che perdono i comuni oltre i 1.000 metri. Insomma i comuni dell’alta montagna reggono molto meglio allo spopolamento di quanto non facciano i comuni della bassa montagna e dell’alta collina.
Dunque sappiamo abitare l’altezza? Non particolarmente, perché la perdita ancorché non forte (i 1.460 comuni oltre i 500 metri di altezza perdono 5 abitanti l’anno ogni 1.000) è generalizzata si tratti di alta collina come di bassa e alta montagna. Ma indiscutibilmente ce la caviamo meglio, noi italiani, con l’alta che con la bassa montagna e pure con l’alta collina.
Se solo ci riflettiamo capiamo però che in questa propensione a difendere meglio i borghi che stanno più in alto di tutti più che l’anelito alle grandi altezze, alle vite immerse nella natura e nei silenzi, alla meditazione e alla solitudine, pesano fattori assai prosaici e pragmatici che potremmo senza difficoltà identificare in business e money, tanto per inglesizzare.
Il perché è piuttosto chiaro. La tenuta decisamente migliore dei comuni dell’alta montagna – si pensi al Trentino e alla Valle d’Aosta ma, in subordine, anche al Piemonte e alla stessa Lombardia, che di comuni di alta montagna ne hanno moltissimi, e scendendo al sud in modo particolarissimo all’Abruzzo del Gran Sasso – è dovuta alla vocazione al turismo tanto invernale che estivo che molti di questi comuni hanno saputo coltivare approfittando delle bellezze naturali e dei paesaggi mozzafiato in cui non si fa che imbattersi viaggiando per quei luoghi. Una vocazione turistica che non è certo del tutto assente nei comuni della bassa montagna e dell’alta collina, ma che non raggiunge qui la diffusione e l’intensità che raggiunge nelle aree e nei comuni dell’alta montagna.
Sono mutati i consumatori, oltretutto, i turisti, i villeggianti. L’intensa e prolungata denatalità ha portato alla rarefazione dei bambini, delle famiglie numerose e delle stesse coppie con figli e sull’altro piatto della bilancia a una sempre più alta proporzione di famiglie con un solo figlio, di coppie senza figli, sposate e no, e di single di 25-44 anni. L’Italia è diventata negli ultimi quattro decenni forse il paese a più bassa intensità di famiglia d’Europa, e questa spettacolare virata rispetto a tutta la nostra storia precedente ha determinato un’analoga virata nella villeggiatura e nel turismo. Le famigliole con figli piccoli che villeggiavano in collina o al più nella bassa montagna si sono diradate in misura sconfortante e ciò ha comportato il declino di un certo tipo di vacanza dai ritmi riposanti scandita da una ripetitività assai analoga a quella di casa e di sempre, solo trasportata a 500-600 metri più in alto.
Il turismo s’è fatto più invernale e sportivo, vivace e variato, un turismo che cerca e premia la montagna vera e propria
Il turismo s’è fatto più invernale e sportivo, vivace e variato, in certo senso aggressivo, non esiste più la stanzialità tutta estiva di un mese o di più settimane nella stessa località, è un mordi e fuggi di una settimana oggi e un’altra domani, magari a distanza di mesi l’una dall’altra, dall’estate all’inverno: un turismo che cerca e premia la montagna vera e propria a discapito di tutto ciò che in altezza è medietà, stabilità, ripetitività. Dalle località dell’alta collina e della bassa montagna s’è spostato in massa, complice l’elevamento degli standard di reddito di una bella fetta della popolazione, a quelle più esigenti e care della media e alta montagna. Nel turbinio di questi spostamenti e cambiamenti la fortuna è girata, finendo per arridere ai comuni dell’alta montagna, mentre i più penalizzati sono stati proprio i comuni tra 500 e 900 metri, quelli che hanno pagato e stanno pagando, e presumibilmente pagheranno lo spopolamento più di tutti gli altri per non essere considerati, ai tempi di oggi, né carne né pesce.
Dei 282 comuni con la sede del municipio a oltre i 1.000 metri 92, pari a quasi uno su tre, ha aumentato gli abitanti nel periodo considerato 2011-2019; dei 763 comuni con municipio tra i 700 e i 999 metri solo 129, poco più di uno su sei, hanno aumentato gli abitanti. La proporzione di comuni che hanno aumentato gli abitanti è più alta tra i comuni con la maggiore altezza che nel complesso dei comuni italiani, compresi quelli di pianura.
E’ dunque questo il sapere abitare l’altezza? Forse anziché “sapere abitare l’altezza” dovremmo più appropriatamente dire “sapere far fruttare l’altezza”. Ma se è il risultato che conta, e ciò è tanto più vero nelle questioni demografiche, anche il saper far fruttare è benvenuto.
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