Saverio ma giusto
E se le elezioni per il Colle si allungassero fino a Sanremo? Panico istituzionale
La politica ormai in crisi di identità, dopo essersi rivolta ai tecnici potrebbe guardare ai cantanti. Gli scenari possibili a fronte dell’elezione al Quirinale di Morandi, Ranieri o Zanicchi (Iva, in quota "una donna") a gara canora ancora aperta
Non giriamoci attorno: l’Italia a inizio febbraio rischia il caos. La pandemia e i No vax stavolta non c’entrano: quello che si configura è uno scenario ben più delicato, ed eventualmente catastrofico. Sto parlando di quella manciata di giorni durante i quali l’elezione del capo dello stato e il Festival di Sanremo potrebbero pericolosamente sovrapporsi; ore potenzialmente drammatiche, durante le quali il paese potrebbe trovarsi in un’incertezza che non ha precedenti nella storia repubblicana, senza sapere cioè né il successore di Mattarella né quello dei Måneskin. Il rischio è concreto: la prima convocazione per le Camere in seduta comune è lunedì 24 gennaio; mentre il Festival parte martedì 1 febbraio. A oggi, tra veti e divisioni, sembra impossibile che le prime tre votazioni possano indicare il nuovo inquilino del Colle; e fra assenti per Omicron e stallo nelle trattative tra i partiti, è probabile che le votazioni siano lente, complesse, sconvocate e riconvocate, mentre i giorni passano inesorabili; e le luci sul palco dell’Ariston potrebbero accendersi prima che il Quirinale sia stato assegnato. Questo comporterebbe non solo un clima di incertezza e sfiducia generalizzato nel paese, con ovvie ripercussioni sia sul tessuto sociale che sui mercati; ma si configurerebbe anche il rischio che le due elezioni si condizionino l’un l’altra, precipitando l’Italia in un ignoto assetto istituzionale e canoro.
Cosa succederebbe infatti se le esibizioni di Gianni Morandi o Massimo Ranieri dovessero risultare così convincenti non solo per la critica musicale ma anche per i numerosi parlamentari allo sbando? Lo scenario più probabile è che la politica, ormai in crisi d’identità, dopo essersi rivolta ai tecnici stavolta guardi ai cantanti; e di fronte a un’elezione al Colle di Morandi o Ranieri o Zanicchi (Iva, in quota “una donna”) a gara canora ancora aperta, cosa accadrebbe? Il Festival verrebbe comunque falsato: sia se il cantante, preso da improvvisi impegni istituzionali, dovesse abbandonarlo per rientrare a Roma prima della serata conclusiva, sia se dovesse restare in gara. Quest’ultimo scenario è forse il più drammatico: è probabile che durante la finale il voto della sala stampa, dell’orchestra e della giuria demoscopica vada al capo dello stato, per autentico patriottismo o anche solo per rispetto delle istituzioni; ma cosa succederebbe se il neo-eletto presidente della repubblica venisse bocciato dal televoto (notoriamente strumento prediletto dai franchi tiratori), e arrivasse secondo, dopo Sangiovanni o Rkomi? Il paese ne uscirebbe lacerato, e buona guerra civile a tutti. Nella migliore delle ipotesi, resterebbe comunque l’imbarazzo internazionale di essere il primo paese al mondo a partecipare all’Eurovision con un capo di stato.
Credo sia urgente un vertice fra il presidente Fico, la presidente Casellati e Amadeus per decidere chi debba fare un passo indietro: se il Festival per il bene delle istituzioni (ma il governo si dovrà impegnare a risarcire la Rai, gli sponsor e il comune di Sanremo con i soldi del Pnrr), oppure se debba fare un passo indietro lo stato, per il bene del Festival e non da ultimo dell’Italia. Non possiamo permetterci due votazioni così importanti contemporaneamente, né tantomeno lo psicodramma di un cavallo pazzo del Gruppo misto che la sera di martedì 1 febbraio, durante l’ennesima votazione per eleggere il presidente della Repubblica, pur di andare a casa a vedere il Festival prenda la parola per gridare alle Camere riunite in seduta comune: “Queste elezioni per il Quirinale sono truccate e le vince Fausto Leali”.
generazione ansiosa