Fumare è di nuovo una cosa cool
Secondo l’Istituto superiore della Sanità con la pandemia è aumentato di almeno 1,2 milioni il numero di fumatori in Italia. Così le sigarette diventano simbolo identitario ai tempi di lockdown e cibi bio
"Quando a New York hanno vietato di fumare negli uffici, ho smesso di lavorare. Quando l’hanno vietato nei ristoranti, ho smesso di mangiare fuori e, quando il prezzo delle sigarette è arrivato a sette dollari al pacchetto, ho preso tutta la mia roba e me ne sono andato in Francia", scriveva sul New Yorker David Sedaris. Era il 1998 e tutto era partito dalla California – terra del benessere e del salutismo, dei video di aerobica con Jane Fonda e del tofu da supermercato – che attuò il primo Smoking Ban statale nei bar e nei locali pubblici. A Parigi c’era ancora una “dottrina Mitterrand per i fumatori”, una resistenza contro la wave anti tabacco che piano piano si sarebbe allargata all’Europa continentale: in Italia nel 2003, con la legge Sirchia, anche se su certi treni regionali si trovano ancora i posacenere incrostati, reliquie di un tempo che fu. Intervistato da Enrico Ghezzi, Umberto Eco raccontava di aver smesso di andare al cinema dal momento in cui non si poteva più fumare in sala.
Quando nel 2007 il governo francese di de Villepin ha ceduto, i giornali hanno usato in prima pagina vecchie foto in bianco e nero di Cartier-Bresson e di Brassaï con i cafè, gli esistenzialisti, e i personaggi da romanzi di Simenon, come se fumare nelle sale del Deux Magots fosse parte dell’identità nazionale, come se eliminare le sigarette dai bar significasse distruggere l’immaginario collettivo della Ville Lumière. Ma non bastavano pub, ristoranti e bistrot. Negli ultimi anni l’ascia anti fumo si è abbattuta anche sui luoghi all’aperto, come a Central Park nel 2010. E siccome Milano vorrebbe esser la New York padana, dall’anno scorso Sala ha vietato di accendersi sigari, pipe e sigarette alle fermate dei mezzi, nei parchi, nelle aree cani, nei cimiteri e negli stadi. Finora le multe sono state pochissime, palazzo Marino la considera più una fase informativa che punitiva, in preparazione al divieto assoluto di fumo, in qualsiasi luogo pubblico, che entrerà in vigore nel gennaio 2025. La scusa è quella dell’inquinamento (5 per cento di quello totale), parte dell’operazione “aria pulita” – ci si chiede quanti pacchetti di Lucky Strike equivalgano alla sgommata di un suv al semaforo.
Secondo l’Istituto superiore della Sanità con la pandemia è aumentato di almeno 1,2 milioni il numero di fumatori italiani (comprese e-cig e vape). Negli Stati Uniti per la prima volta in vent’anni la vendita di sigarette è tornata ad aumentare. “E’ finito il lento declino del fumo”, scrive il Wall Street Journal. Dad, smart working, stress e noia da lockdown, uniti all’ansia da fine del mondo, sono tutti elementi utilizzati per spiegare il ritorno del vizio. Ma non è tutto, c’è anche il fattore glam – fumare è di nuovo una cosa cool?
La scorsa settimana il New York Times, nella sezione Style & Fashion, ha pubblicato un articolo sul ritorno della sigaretta tra i giovani. Non solo nelle pause studio o davanti alle birrerie artigianali, ma su Instagram, TikTok o nelle foto con attrici francesi con la sigaretta tra le labbra usate come sfondi dell’iPhone. Gli intervistati, millennial di Brooklyn, zoomer di Los Angeles, lo giustificano come parte “dell’etereo revival degli anni 80” o come “rigetto della cultura del benessere”, resistenza a yoga, veganesimo e a catene di supermercati bio troppo cari. Inoltre, la progressiva legalizzazione e legittimazione sociale della cannabis rende il tabacco qualcosa di vintage, oltre che di meno conformista. Se la marijuana diventa terapeutica, il consumo di nicotina resta un puro e semplice death wish. Se l’erba, una volta simbolo identitario di controculture, oggi è mainstream, accendersi una Marlboro può diventare quasi punk. “I belli fumano, e anche le persone con molto talento”, dice Fernanda Amis, tra gli intervistati dal Times. “Per citare Antonio e Cleopatra, fumare ‘è come il pizzicotto d’un amante, che fa male, eppur lo si desidera’”, dice al Foglio la venticinquenne, figlia dello scrittore Martin Amis. “E’ una cosa piuttosto stupida, ma lo fanno le persone più intelligenti!”.
generazione ansiosa