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Elogio del gregge, che in pandemia si sta comportando benissimo

Giacomo Papi

Due anni di Covid e almeno venti di Internet avrebbero dovuto insegnarci con quanta obbediente prevedibilità i comportamenti umani rispondano alla statistica. Invece ci aggrappiamo ancora alla consolazione romantica di essere diversi

C’è qualcosa di insopportabile nel modo in cui la gente parla della gente per autoassolversi e accusare gli altri, nell’istinto a pesare le proprie mancanze al dettaglio e quelle degli altri all’ingrosso. C’è qualcosa di insopportabile nel pensarsi al di fuori e al di sopra della massa, come se si potesse non farne parte. Due anni di pandemia e almeno venti di Internet avrebbero dovuto insegnarci con quanta obbediente prevedibilità i comportamenti umani, anche i nostri, rispondano alla statistica. Invece ci aggrappiamo ancora alla consolazione romantica di essere diversi e alla pulsione di pensare che i contagi crescano perché la gente è scriteriata. Anche perché oggi sta accadendo l’esatto contrario. 

L’ultimo “Report sugli spostamenti della comunità - Covid-19”, che Google pubblica dall’inizio della pandemia (a proposito di Grande Fratello), dimostra che dall’inizio di dicembre in Italia l’uso dei trasporti pubblici è calato del 29 per cento, del 22 la frequentazione di bar, ristoranti, centri commerciali, cinema, teatri e musei, del 15 per cento gli spostamenti per lavoro, ma ci si è mossi il 9 in più per alimentari e medicine, e l’8 per andare al parco o in spiaggia, cioè in luoghi all’aperto dove il virus circola meno. Insomma, da quando i contagi hanno cominciato a risalire, ovunque in Italia la gente ha cambiato abitudini per frenare la circolazione del virus prima che glielo imponesse la politica. È stato anche grazie a questa prudenza collettiva – e alle vaccinazioni di massa – se ospedali e terapie intensive hanno retto a un’ondata quantitativamente mai vista. Un esempio clamoroso di saggezza della folla (che infatti non ha la stessa etimologia di follia).

Bisognerebbe accettare di assomigliare agli sciami di insetti, ai banchi di pesci o agli stormi di storni, che arrivano in Italia a inizio novembre e disegnano sopra i tetti forme improvvise. Una delle più grandi scoperte di Giorgio Parisi, il professore della Sapienza di Roma che ha vinto l’ultimo premio Nobel per la Fisica, è avere stabilito che il motivo per cui i singoli storni non si scontrano, la legge che regola le evoluzioni degli individui e rende stabile quel sistema dinamico è che ogni storno regola il suo volo in rapporto al volo dell’uccello vicino. A tenere insieme lo stormo, cioè, è l’osservazione del prossimo e la disponibilità a seguire i comportamenti dell’altro. Non c’è motivo di pensare che la stessa legge elementare non valga per le società umane. Per questo la cultura è fondamentale. Convincerne uno spesso significa educarne cento. L’imitazione, l’informazione, le leggi, le mode e il conformismo, perfino, sono funzioni politiche primarie, essenziali per tenere insieme una società, per darle forma e armonia, e impedire che le traiettorie individuali entrino in collisione e degenerino in guerra. 

Bisognerebbe accettare di esistere come fasci di elettroni che modificano i propri comportamenti individuali quando sono osservati, ma statisticamente riproducono sempre gli stessi schemi collettivi. E imparare a sentirsi speciali anche dentro la folla. Nessuno è mai interamente innocente o colpevole, nemmeno i più prudenti che si sono comunque presi dei rischi, perché oltre alla salute del corpo esiste quella mentale e sociale. A guardare il mondo dall’alto in basso non si vede niente perché tutto è troppo piccolo. Sentirsi superiori è sempre un segno di stupidità. E può essere pericoloso. Vale per chi si sente innocente a prescindere e incolpa “la gente” di ogni magagna. Vale molto di più per tutti quei No vax e paravax che si credono speciali ed elevati rispetto al gregge di pecoroni che si sono vaccinati per adattarsi ai comportamenti di chi gli stava vicino. 

Negli anni Venti in Germania andarono di moda i cosiddetti Bergfilm, i “film della montagna”. Era un genere cinematografico a sé. La trama era sempre la stessa: un nobile ragazzo ariano conquistava una vetta per abbeverarsi al sublime, sfuggire alla mediocrità del volgo e guardare dalla cima i “maiali della valle” rimasti ad affannarsi nel truogolo della quotidianità. Il giovane Hitler ne andava pazzo, racconta Siegfried Kracauer in “Da Caligari a Hitler” del 1947. C’è un romanticismo d’accatto nell’enfasi idiota che circonda il concetto di “voce fuori dal coro” (quando un coro canta, quando si tenta cioè di costruire insieme qualcosa di buono e bello, chi non canta dovrebbe tacere e ascoltare). Ma neppure le “voci fuori dal coro”, neppure le anime sublimi in cima alla montagna, possono illudersi di sfuggire alla massa. Uno stormo rimane uno stormo anche se qualche uccello vola a zig zag o all’indietro. Può anche sentirsi un eroe, ma più spesso è un cretino e sempre un fatto statistico.

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