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Dalla politica a Sanremo, l'Italia cerca l'eterno ritorno. A spasso nei ricordi del '92
Trent’anni fa di questi tempi, pochi giorni prima che Sanremo iniziasse, cominciava Mani pulite, e Beppe Grillo a teatro rispondeva in diretta alle telefonate della gente contro i politici. Al Festival, Pippo Baudo e Alba Parietti battibeccavano. Non ha ragione il "Gattopardo", bisogna che tutto si ripeta ma con minime variazioni
Forse Sanremo è l’eterno ritorno dell’uguale di Nietzsche. Forse anche l’elezione del presidente della Repubblica è l’eterno ritorno dell’uguale di Nietzsche (soprattutto se si continua a eleggere lo stesso presidente della Repubblica dal 2006). Forse alcuni spettacoli ciclici – i festival, i derby, le fiere, le elezioni – li abbiamo inventati proprio per convincerci che la primavera ritornerà e tornerà anche l’inverno, e che vivremo senza scossoni, girando in tondo come pianeti sull’orbita o criceti sulla ruota. Dopo aver tirato un sospiro di sollievo perché al Quirinale c’è ancora un presidente della Repubblica fatto a forma di presidente della Repubblica e a Palazzo Chigi un presidente del Consiglio a forma di presidente del Consiglio, occorrerà pur ammettere, guardando Amadeus, che qualche cambiamento potrebbe fare bene. E così, mentre tutti citano Il Gattopardo a sproposito, e sul palco dell’Ariston compare Orietta Berti con Rovazzi, Donatella Rettore canta “Chimica” e Iva Zanicchi “Voglio amarti”, mi sovvien l’eterno e le morte stagioni e il tempo in cui desideravo ancora che qualcosa cambiasse, perché non avevo tanta paura del peggio.
Trent’anni fa di questi tempi, pochi giorni prima che Sanremo iniziasse, cominciò l’inchiesta che sarebbe passata alla storia come Mani pulite. Sul Corriere della Sera di quei giorni, oltre alla notizia dell’arresto di Mario Chiesa in prima pagina, taglio basso, e all’intervista del giovane Alessandro Sallusti al giovane Bobo Craxi, si potevano già leggere la rubrica di Aldo Grasso e polemiche su Vittorio Sgarbi e Giuliano Ferrara (auguri), accusato di “guardonismo” dal medesimo Grasso per il programma “Lezioni d’amore”. Beppe Grillo, intanto, debuttava al Teatro Smeraldo, oggi Eataly, con uno spettacolo dedicato alla “gentocrazia” in cui rispondeva in diretta alle telefonate della gente contro i politici. Ecco, dopo due settimane di dirette tv, la prima per decretare il presidente della Repubblica, la seconda per il vincitore di Sanremo, mi sembra che tutto sia fermo da allora e che l’Italia assomigli a un insetto intrappolato nell’ambra, come in “Brigadoon”, il film del 1954 di Vincente Minnelli sul paese che viveva un solo giorno ogni cent’anni. Forse il principe di Salina si era lasciato prendere da eccessivo sconforto, quando nel Gattopardo pronunciò la frase che molti in questi giorni citano (a volte sbagliandola): “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. In realtà, bisogna che tutto si ripeta con minime variazioni.
Nel febbraio 1992, trent’anni fa, mentre Mario Chiesa era a San Vittore, Luca Barbarossa vinceva Sanremo con “Portami a ballare”, davanti a Mia Martini con “Gli uomini non cambiano” e a Paolo Vallesi con “La forza della vita”. Giorgio Faletti e Orietta Berti cantavano “Rumba di tango”, Peppino di Capri e Pietra Montecorvino “Favola blues”. Per la prima volta dal 1973 erano stati reintrodotte le eliminazioni dei campioni ogni sera. Aleandro Baldi e Francesca Alotta furono primi tra i giovani con “Non amarmi”, ma va almeno ricordata “Brutta” di Alessandro Canino che, – leggo su Wikipedia – dopo avere “intrapreso varie attività sempre legate al mondo musicale fra cui l’apertura di un locale vicino a Firenze, con lo scopo di far esibire gruppi e cantanti emergenti, e la Brutta srl, società di management”, oggi “conduce su Lady Radio la trasmissione ‘Un giorno da Canino’”. Era il terzo degli otto festival condotti da Pippo Baudo, il primo dei cinque consecutivi. Iniziò con l’assalto di un disturbatore seriale soprannominato “Cavallo pazzo” che, abbarbicandosi a Baudo sul palco, gridò che il festival era truccato e sarebbe stato vinto da Fausto Leali. A Pippo Baudo, che faceva lo spiritoso sulle gambe accavallate, Alba Parietti rispose: “L’accavallo? Cosa vuoi? C’è gente qui in Italia che è riuscita per quarant’anni a stare sulla stessa poltrona, io qui a Sanremo purtroppo lo sgabello l’ho dovuto lasciare”. “Satira politica!”, esclamò Pippo.
In “Italia d’oro” Pierangelo Bertoli cantava “Delle tangenti e dei boss tutti liberi / Di un’altra bomba scoppiata in città”. Un giorno prima il direttore artistico del festival, Adriano Aragozzini, aveva ricevuto un avviso di garanzia per presunte tangenti pagate nelle precedenti edizioni. La serata finale fece il 69,62 per cento di share. Sono impercettibili i cambiamenti. Cambiano le persone, le maschere. Ma sono immobili le funzioni. Perché anche la rivoluzione in Italia è ciclica, come Sanremo. E così il Parlamento ribolle assimilando chiunque, e in pochi anni trasforma quelli che sognavano di aprirlo come una scatoletta di tonno nel tonno, cioè nel pesce “così tenero che si taglia con un grissino”, mentre la macchina dello stato lavora imperterrita a scongiurare il naufragio, inchiodandoci tutti all’eterno del ritorno.
P.S. Mi accorgo solo ora, alla fine dell’articolo, di aver scritto il 2 febbraio, giorno della Marmotta.