Retromania trendy
La nostalgia va di moda ma rischia di oscurare il futuro
Lucrezia Ercoli nel suo saggio riflette sulla tendenza a rimpiangere il passato: "Oggi più che mai il presente sembra opaco, preferiamo rifugiarci nell’età dell’oro ma è un gioco pericoloso perché in questo eterno ritorno sembra esaurito lo spazio per pensare il futuro”
Filtri screziati per le stories nei network, effetto pellicola mal sviluppata, Polaroid istantanea, vhs, 1977. I festival dell’èra hipster come il Future Vintage di Padova, o Reverso a Milano. I Mondiali del Novanta e il loro immaginario, che tornano ciclicamente anche fuori ricorrenza. La nostalgia è web: ne è espressione, figlia, fertilizzante. Un indefinito malessere capace però di generare sensazioni piacevoli, non masochiste: spleen, rimpianto, loop.
Ne ha scritto Lucrezia Ercoli nel saggio "Yesterday. Filosofia della nostalgia”, appena uscito per i tipi di Ponte alle Grazie, con dovizia di argomentazioni e l’intelligenza di metterle a sistema. Ercoli, docente di Storia dello spettacolo all’Accademia di Bologna, è direttrice artistica del festival “PopSophia” e non si cimenta per la prima volta con i temi della cultura pop contemporanea: “La nostalgia esplode nella crisi – spiega l’autrice – e ciclicamente ritorna. Oggi più che mai il presente sembra opaco, il futuro imprevedibile: preferiamo rifugiarci nell’età dell’oro, “come eravamo” prima di perdere le illusioni”. Ma, sottolinea Lucrezia Ercoli, “è un gioco pericoloso, perché in questo eterno ritorno sembra esaurito lo spazio per pensare il futuro”.
Una delle tesi è che la neonostalgia interdisciplinare, nel tempo-internet, si sia sviluppata grazie agli strumenti di archiviazione come YouTube, che rendono disponibile sincronicamente tutto il passato (o quasi): un supermercato della memoria – la definizione è dell’antropologo Arjun Appadurai – dove ogni cosa è nuova se inedita, ancorché partorita anni fa. E potrebbe, spinta dal passaparola, diventare trendy. I nati prima del 1980 covano la percezione di essere gli ultimi ad aver visto un mondo migliore dell’attuale: per questo sono la prima generazione che fa seriamente i conti con la nostalgia, ovvero un’accogliente fuga dal futuro e dal pensiero di esso, mentre i genitori erano impegnati a costruirlo. Il filtro nostalgico rivaluta a scadenza sempre più ravvicinata: nei Settanta la nostalgia di “Grease”, negli Ottanta quella di “Una rotonda sul mare”, nei Novanta i pantaloni a zampa.
Qui si rompe l’orologio, dacché in epoca postmoderna si arriva a rimpiangere anche il giorno prima. La terminologia dell’industria musicale ne è uno specchio: ristampe in vinile, restaurate e rimasterizzate, reunion, remake, revival, “Nu-disco”. Facebook e Instagram invitano ogni giorno a ricordare: la Meglio Nostalgia in chiave pop è un facile ricatto algoritmico, divide gli ottimisti dai pessimisti e ovviamente diventa settore merceologico dalle legacy degli archivi aziendali. Dove i ricordi sono edulcorati, il passato meglio di com’era prima, la perdita di contatto con la realtà un rischio per chi non si aggiorna. “Vorrei almeno essere in grado di richiederle – scriveva Proust delle madeleine – e ritrovarle intatte, a mia disposizione e proprio ora”: è la purezza di Marina Suma che dice addio a Jerry Calà vent’anni dopo, sulle note appunto di “Celeste nostalgia”. La retromania si rivelerà una fase storica isolata, di facile superamento? Ridammi indietro la mia Seicento, i miei vent’anni e la ragazza che tu sai, pare rispondere il volume: ma non si viva più di soli sospiri.