Le mille corone di Duino

A caccia di fantasmi e memorie nel castello sul Carso

Sangue blu (2)

Qui Rilke compose le sue elegie. Dalla principessa Sissi a Carlo d’Inghilterra, da Liszt a Karl Popper, visitatori e leggende. Non può mancare il maggiordomo

Per chi ha voglia in questi giorni di sommo disordine di sognare un passato remoto più composto, ecco delle passeggiate araldiche: a Duino, non lontano da Trieste, passando innanzitutto dal sentiero Rilke, basta lasciare la macchina a Sistiana e si fanno questi due chilometri che portano appunto al piccolo borgo (ma il fantasma della guerra incombe: non solo si è più vicini a Kyiv che a Palermo, guardando su Google Maps, ma sono ancora ben visibili le trincee della Grande Guerra).

 

Qui il poeta in crisi venne ospite della principessa castellana Maria von Thurn und Taxis nel 1912. E vi scrisse parte delle sue elegie. “Qui è magnifico!”, scriveva, anche se spesso lo abbandonavano li tutto solo. Cimeli scampati a una mega asta del 1997 in cui i principi - Torre e Tasso, italianizzati, una torre e un piccolo roditore nello stemma - vendettero quasi tutto: Il fortepiano su cui suonò Liszt; quadri di antenati, sopravvissuti alle vendite e alle bombe; gran numero di lettere e foto. “Duino Duino Duino! Je pars a midi”, da Parigi, di qualche almeno duchessa entusiasta pronta per le vacanze. Una lettera di D’Annunzio in cui molto elegantemente  il poeta dà buca a un evento.  Tracce di visitatori, un po’ buttate lì: Sissi, l’Arciduca Francesco Ferdinando, Johann Strauss, Hofmannsthal, Paul Valery. E l’invito per l’incoronazione di Elisabetta nel 1952. Con i Windsor, rapporti di famiglia (il penultimo principe impalmò una principessa di Grecia; chi ha visto “The Crown” capirà). E il ritratto di Carlo d’Inghilterra che campeggia nella bella biblioteca (venne nel 1984 e nel 1990).

 

Sterminati alberi genealogici e finestre che inquadrano il mare (certo, i cantieri di Monfalcone con le gru rovinano il panorama comunque mozzafiato).  E carrozze e diligenze in miniatura con la scritta “Regenburg hof” cioè dirette alla reggia di Ratisbona che ancor oggi è la sede del castello di famiglia ed era il grande deposito di questa antica Dhl: famiglia che come dice il nome stesso fondò il servizio di trasporti e postale in Europa ottenendone enormi ricchezze (ancora in capo al ramo tedesco che oggi è rappresentato da Gloria, la principessa “Tnt”, esplosiva, e dai tre figli) e addirittura uno Stato sovrano, da cui il titolo di altezza serenissime.

 

 Raimondo Torre e Tasso (a destra) con la moglie Eugenia di Grecia e i suoceri

 

Questo ramo italiano più privato ma ugualmente serenissimo e segreto sarà forse meno liquido ma ha fatto politiche matrimoniali  anche più ambiziose: il principe Raimondo impalmò appunto Eugenia di Grecia ed ecco soprattutto tante lettere e telegrammi; sempre la regina Elisabetta che ringrazia di suo pugno in ina lunga lettera “dear aunt” per il cordoglio nella scomparsa del di lei padre Giorgio VI il balbuziente; la lettera del re Paolo di Grecia che nel 1954 invita tutti i “chers cousins” per la crociera dei reali, quella sull’Agamemnon, poi leggendaria. Da Napoli salpa una motonave con 104 membri di case regnanti o ex regnanti. Duchi e marchesi manco li fanno salire a bordo, solo altezze, serenissime o reali o al massimo imperiali (“ma una cosa tra noi”, invita il cugino Paolo di Grecia, senza “outsider che rovinino come sempre il nostro piccolo divertimento”. Come si sa l’invenzione fu della scaltra moglie Federica di Grecia, che puntava a tre obiettivi: primo, fare un mega tour promozionale delle isole greche nel crescente turismo internazionale (usando i reali come influencer); poi, ritrovarsi tra cugini dopo le due guerre che avevano sconquassato in maniera poco elegante la cartina geografica d’Europa. Infine, vero motivo, far accoppiare rampolli e rampolle segregate sul panfilo in modo da ritardare il più possibile il momento, che poi arriverà, in cui le S.a.r. e S.a.s cominciano a impalmare personal trainer e hostess (segue risposta presso palazzo reale di Atene). 

 

Tra i residui di piatti con i meglio stemmi d’Europa a Duino verrebbe da ambientarci un giallo o thriller col castello e dirupo e poi accanto, senza soluzione di continuità, il Collegio del Mondo Unito, peculiare scuola i cui avamposti sono sparsi per il globo, voluta anche questa dal principe Raimondo, singolare figura di europeista, una specie di Otto d’Asburgo in miniatura. Nato nel 1907 dal matrimonio di Alexander Torre e Tasso con la principessa Marie de Ligne, prosapia sommamente proustiana, il giovane Raimondo si arruolò nell’esercito italiano durante la guerra in Etiopia. Partecipò poi alla Seconda guerra mondiale come volontario in Russia riuscendo a rientrare in Italia grazie a un passaporto diplomatico della Croce Rossa. Quando torna al castello lo trova però occupato dalle forze militari inglesi, e per protesta  si accampa ai piedi del maniero con una tenda su cui sventola la bandiera blu e rossa del casato. Duino ha questo destino d’essere un po’ fuori dal mondo e sempre al centro dei rovesci della storia, come in generale il Carso, per noi lontanissimo ma chiaramente è come arrivare a Venezia a piedi, ti rendi conto che va girato, visto dall’acqua. Qui, visto dall’Eurpa e dall’ex impero. Nomi come Fiume, e addirittura Caporetto, nei dintorni, riassumono la grande Storia.


Per la sua posizione strategica, Duino è continuamente occupato: già avamposto di guardia romano del periodo di Diocleziano (III secolo d.C.). Poi diventa compound sul Carso degli Asburgo, poi per micidiali vicende dinastiche feudo dei Torre e Tasso. Oggi il principe titolare Carlo Alessandro vive in Portogallo, il figlio Dimitri va e viene da Bruxelles, e insomma fisso non ci abita più nessuno. Nel frattempo oggi al castello resiste un bunker inquietantissimo, perché prima ancora era stato occupato da: il camerata Kesserling, quello della omonima ballata; una scuola per SS; i partigiani di Tito; dai neozelandesi del generale Freyberg; il comando Alleato del Territorio Libero di Trieste e dal generale inglese Winterton; alla fine il principe riesce a cacciare via tutti e si sposa, al palazzo Reale di Atene, nel  1949, con la blasonatissima (ma divorziata) principessa Eugenia di Grecia e Danimarca cioè zia di Filippo di Edimburgo.

 

Il misto tra europeismo e blasone bestiale (finanziò con  terreni e denari il prestigioso Centro internazionale di Fisica teorica di Trieste e già dal 1955 la bandiera bianca e verde dell’Europa unita sventola sulla torre) fa sì che al castello arrivavano ogni genere di personaggi. Il segretario generale dell’Onu, Xavier Perez de Cuellar, e Karl Popper, “un vecchietto simpatico, che rimase una settimana, io scoprii poi che era il premio Nobel, vedendo una sua foto sul giornale”. Questo lo racconta al Foglio l’ex maggiordomo, perché come in ogni castello che si rispetti c’è un maggiordomo:  José Gustavo Martinez, oggi sessantenne, che assistette il principe Raimondo negli ultimi anni della sua vita.  Ha scritto pure un libro, “L’ultimo maggiordomo. I segreti del castello di Duino”, editore Work in Progress. E lì, gran conversazioni citofoniche da torre a torre per decidere menu e sitting anche complicati per ospiti e protocolli da “royal court”, anche “in the middle of nowhere” (Carlo, si apprende, è fan dell’insalata russa).

 

“Cambio di livrea cinque volte al giorno”, dalla divisa da autista con pantaloni alla zuava e cappello, al frac per la sera. Servizio: sedici persone (cinque giardinieri, due donne delle pulizie, una cuoca, ancora viva. “Il principe, che credeva molto nella reincarnazione, diceva che se si sarebbe voluto trasformare in un giardiniere”). Udienze con la segretaria una volta alla settimana, una ogni due con l’amministratore. Siccome il principe era malato d’enfisema, via tutto l’inverno, in Spagna, Tenerife, o crociere (“e io me ne tornavo in Argentina”). Alla morte del principe, il maggiordomo lascia per sempre il castello. “Anche perché, adesso posso dirlo, io qui son sempre stato un irregolare. Mai avuto il permesso di soggiorno, ma lavorando per il principe era come se avessi uno speciale lasciapassare. Lui era un’autorità. Alla sua morte, suo figlio, Carlo Alessandro, mi indirizzò presso una zia a Parigi, un’altra principessa. Aveva una grande Rolls Royce che dovevo guidare, e si partiva in continuazione per Nassau. Preferii tornare a Duino. Per un po’ feci l’autista a un avvocato che era l’avvocato di Ranieri di Monaco, che mi promise un passaporto diplomatico argentino ma il passaporto diplomatico non è mai arrivato”.

 

Così dopo un po’ riecco Duino. “Mi misi a fare il muratore, ma la mia passione è sempre stata la ristorazione. Così andai a Trieste al ristorante da Primo, poi Duino dove era sorto il Cavalluccio”, ed è lì che oggi lo si trova. Il Cavalluccio è un buon ristorante che sorge sul moletto, dove Martinez è capocameriere. E lì si mangia al sole, tra Tesla e suv con targhe slave forse di oligarchi in fuga e qualche sparuto studente del Mondo unito sparso per il paesino che altrimenti sembrerebbe un qualunque borgo brianzolo con villette e uffici postali, e invece Duino tra maniero e l’internazionalità giovane sembra un set da 007. I confini del collegio - patrocinato da Lord Mountbatten, di nuovo "The Crown" - si confondono con quelli del castello (e recensioni su Tripadvisor di turisti sdegnati: “segnalate meglio! mi sono perso, durante la visita al castello mi hanno detto che ero nel Collegio del mondo unito, e mi hanno cacciato”, pessima esperienza”). 

 

Fantasmi: “una famosa dentista di Monaco di Baviera, che alloggiava nell’appartamento che era del nonno del principe. Alle cinque di mattina si sente il cane Lux abbaiare, e si sentono le urla di lei, in tedesco: dice che c’era il nonno del principe che fumava un bel sigaro, seduto sul suo letto. Le dovemmo chiamare un taxi e andò in albergo. Ma il principe non andava svegliato, era abbastanza abituato a questi casi. Io dormivo con la radio sempre accesa, per via di certi strani rumori”. Ma insomma il fantasma c’è o non c’è? “Io parlo di quello che ho visto. Sicuramente qualche spostamento sospetto di quadri, di notte, l’ho visto”. La Dama bianca, spettro di una antenata troppo trascurata dal marito, infine gettata dal dirupo perché protestataria (femminicidio d’epoca!), però non l’ha mai avvistatoa. In compenso Dama Bianca si chiama un altro ristorante lì sul moletto di Duino.

 

Poi, per chi volesse fare l’upgrade ad altezza imperiale, e soffrisse la nostalgia d’Absburgo in maniera ancora più virulenta, non c’è che da fare qualche chilometro fino a Miramare, l’atro castellino molto araldico visitabile, che fu dimora dello sfortunato Ferdinando Massimiliano, fratello del più noto Cecco Beppe, e cognato di Sissi. Governatore troppo liberal del Lombardo-Veneto, tanto che Cavour temeva che il popolo vi si affezionasse, e allora addio Italia unita, fu presto sostituito dal fratello maschio alfa. Con la sua Carlotta si fanno costruire questo castellino “pieds dans l’eau” come oggi Kim Kardashian commissiona a Tadao Ando una villa al mare. Investimento azzeccatissimo, panorama top, tanto che andando in visita bisogna districarsi tra decine di millennial che si sporgono tra selfies e video non resistendo all’accoppiata neogotico-marittimo che fa impazzire evidentemente l’algoritmo.

 

Massimiliano e la sua Carlotta vivono soprattutto al piano terra, dove lui si fa fare degli interni molto marinari uguali all’interior della sua nave preferita, la fregata Novara – quella che poi lo porterà alla morte. Lei, Carlotta, dipinge molto, è molto nevrotica, odia la cognata-star Sissi, e oltre a vari salottini ha una cameretta da letto con lettino singolo minuscolo con testiera di ferro battuto: in questi matrimoni non si vedeva l’ora di dormire soli, si capisce, ma non si comprende comunque l'avarizia sul centimetro. Soprattutto rispetto alla grandeur del resto: grandeur fuori tempo massimo, peraltro, di questi castelli “in stile” quando sono in arrivo Freud e il Bauhaus  (ma per tornare ai nostri Duino, Maria Bonaparte nonna del principe Raimondo e psicanalista, e allieva proprio di Freud, aveva pagato di tasca sua il riscatto che i nazisti avevano messo sul suo maestro, a cui avevano sequestrato casa, biblioteca, e pure il famoso lettino, nel ‘38). 

 

A Miramare, al primo piano, tappezzeria rossa col nuovo stemma messicano di Massimiliano: a cui fanno balenare l’idea demenziale di diventare imperatore del Messico; e la moglie Carlotta, figlia di Re Leopoldo del Belgio, spinge, in quanto frustrata di far la villeggiante. Lui salpa, con la sua fregata, e dopo qualche anno vi viene sparato dai rivoluzionari (certo, che karma e che famiglia, questi Asburgo: peggio dei Kennedy. Sissi accoltellata dall’anarchico Luigi Lucheni sul lago di Ginevra; Massimiliano in Messico, Cecco Beppe solo assalito da un balordo che prende a bastonate la imperial carrozza a Vienna). Poi: appartamenti cinesi e un incredibile salone tipo nibelunghi con enormi lampadari d’ottone e vista libera – a differenza di Duino - che nulla ha da invidiare ai castelli più pazzi di Ludwig di Baviera (immortalato qui in un ritratto dall’aria molto nuova come tutto del resto nel castello, dotato di ascensori e riscaldamento centralizzato). Anche Carlotta vi trascorre gli ultimi anni pazza e depressa, vedova sorvegliata dalle guardie austriache tipo Charlene. Dopo la Prima guerra mondiale mondiale e la polverizzazione degli imperi, ci andranno ad abitare gli Aosta, con Amedeo e la moglie che si fanno fare degli arredi al secondo piano molto borghesi, divani comodi di pelle, radica, bagni grandi e funzionali anche per le duchessine. Abbandonando gli interior irredimibili asburgici al futuro museale (ma poi anche a lui rifilano un Impero - sempre rifiutare! - diventa vicerè d'Etiopia, e finisce poi tutto naturalmente malissimo).