La globalizzazione "da gettare"? Ma se in vent'anni ha redistribuito la longevità
Un elemento basta per mettere in discussione questa visione/versione dell'aumento univoco delle disparità: la vera e grande e innegabile e benissimo documentabile redistribuzione della speranza di vita su scala mondiale
La criminale guerra di Putin contro l’Ucraina cambierà gli equilibri geopolitici del mondo. E’ previsione pressoché comune. Segnerà anche la fine della globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta. Quest’ultima sembra, oltre che facile, anche una consolante previsione per molti. Sparare contro la globalizzazione nel segno degli Stati Uniti? Più facile che contro la croce rossa. Si sono sentite critiche e accertate avversioni di tutti i colori contro la globalizzazione. Tutto il male possibile è stato detto, quasi niente di buono è stato ricordato. Come se davvero degli ultimi vent’anni della globalizzazione non ci fosse niente da salvare. Ma non è precisamente questa, la realtà. Cosicché si capisce bene come il pregiudizio ideologico finisca quasi sempre per avere la meglio, almeno a gioco corto. La storia dirà. E se la critica di fondo alla globalizzazione chiama in causa prima di tutto la categoria dell’accentramento – dei redditi, delle ricchezze, delle risorse e delle tecnologie – con conseguente aumento delle disparità su scala planetaria e sub-planetaria, un elemento almeno – e che elemento – della globalizzazione basta per mettere in discussione questa visione/versione: la vera e grande e innegabile e benissimo documentabile redistribuzione della longevità su scala mondiale.
Che questo elemento venga praticamente ignorato è la più clamorosa conseguenza di quella visione/versione che ha stampigliato sui venti anni che vanno dal quinquennio 1995-2000 al quinquennio 2015-2020, i venti anni clou della globalizzazione, l’etichetta “da gettare”.
Gettare un corno. Quanti pensano e dicono e scrivono così non sanno, o non vogliono sapere, quanto adesso andiamo a documentare loro – non noi: la Population Division, sezione dell’Onu che si occupa di seguire tutti i fenomeni della popolazione mondiale paese per paese, continente per continente. Dobbiamo mettere in fila un po’ di dati, ma l’operazione è inevitabile per evitare l’obiezione che facciamo chiacchiere.
E dunque: nel ventennio indicato la speranza di vita alla nascita o vita media è salita a livello mondiale di ben 6,7 anni (aumento medio della vita di 3,4 anni ogni 10 anni di calendario: già questa una enormità), con queste graduazioni continentali: Africa 10,3 anni di vita media in più; Asia 6,7 anni in più; Europa 5,2 anni; Oceania 4,8 anni; America latina e Caraibica 4,6 anni; America del nord 2,5 anni E’ vero: i livelli di partenza della durata media della vita erano nel quinquennio 1995-2000 assai differenziati: tra l’America del nord, allora la punta più alta, e l’Africa si andava da 76,7 a 52,3 anni di speranza di vita alla nascita, con un divario enorme di 24,4 anni. Logica vuole che gli aumenti siano maggiori dove maggiori sono i margini di miglioramento. Ma nel quinquennio 2015-2020, venti anni dopo, l’America del nord saliva a 79,2 anni di vita media, l’Africa a 62,7, per una differenza di 16,5 anni. Detto diversamente: nei venti anni clou della globalizzazione l’Africa ha ridotto di 8 anni il suo distacco dall’America del nord in termini di durata della vita. In pratica ha risucchiato all’America del nord quasi un anno di vita ogni due anni di calendario. Siamo ben al di là di fisiologici avvicinamenti. Ed è da annotare, peraltro, come nel tempo della globalizzazione di segno Usa l’America del nord (Stati Uniti più Canada) sia di gran lunga il continente-regione del mondo che guadagna meno anni vita; l’Africa innanzi tutto e secondariamente l’Asia i continenti con un exploit di longevità.
Quanto la globalizzazione abbia redistribuito la longevità è perfino più evidente da queste altre cifre, che guardano non più alla geografia ma alla ricchezza dei paesi del mondo. Sempre nello stesso intervallo di tempo i paesi a più alto reddito registrano un aumento della speranza di vita media di 4 anni; di 6,5 anni quelli con livello medio di reddito; addirittura di 11,7 anni i paesi con livello di reddito basso. Questi ultimi, che partivano da 51,7 anni di vita media del quinquennio 1995-2000, si sono inerpicati, è proprio il caso di utilizzare questa forma verbale, ai 63,4 anni del 2015-2020, con un aumento medio annuo di speranza di vita di 7 mesi ogni anno di calendario (contro i 2,4 mesi ogni anno di calendario dei paesi più ricchi). Un aumento di longevità perfino difficile da concepire.
Basta così o si deve continuare, per mostrare quanto sia demagogico anche soltanto pensare che la globalizzazione abbia accentrato tutti i vantaggi sui più forti per redistribuire le disgrazie sui più deboli del mondo?
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