Rivendicare il diritto alla sciatteria è la nuova frontiera della lagna social
Non solo non farsi la ceretta, non uscire di casa, non vedere nessuno, ma anche esibirlo con l'hashtag #goblinmode. Non è solo un'eredità della pigrizia da lockdown, ma anche l'ultima trovata della lotta all'eteropatriarcato
Eravamo alle soglie degli anni Venti. I social network favorivano ancora il perfezionismo. C’erano foto di tanga al tramonto. Natiche sostenute da Coez o Prévert. Splendide e incongrue didascalie. Muscoli, canzoni, poesie, cibi, mari, viaggi, vite levigate erano in capo alle tendenze. Ma a un certo punto la musica è cambiata. Tanto che oggi compare un nuovo trend. E’ l’hashtag #goblinmode. Su TikTok conta un milione di visualizzazioni. Avete presente gli sciamannati che postano video in pantofole, fermagli nei capelli, maratone su Netflix, Glovo e junk food? Ecco, i goblin sono proprio loro. Quelli del “lasciatemi fare schifo”.
Sono sui social, oggi. Ma già li troviamo in sfere di cristallo letterarie. Goffredo Parise nei primi anni Ottanta racconta la storia di un uomo pigro. Siamo alla voce “Ozio” dei Sillabari. L’uomo pigro è convinto di essere un nano, uno gnomo, forse un elfo. Ad ogni modo si sveglia pimpante come uno spiritello. Ma poi, istante dopo istante, decide di rimandare tutto a domani. Domani è sabato. Allora rimanda tutto a lunedì. Il tempo passa. E alla fine, venuta meno l’energia, di quell’essere malfatto non gli resta che l’aspetto. Che coincidenza se oggi la pigrizia si porta dietro il nome di un mostriciattolo. Come l’omino di Parise, i goblin sanno di essere orrendi. Eppure, a differenza sua, non se ne vergognano. Anzi, evidenziano l’orrore nell’ostentazione. E ovunque hanno la forza di affermare e diffondere il diritto alla bruttezza.
In un recente articolo del Guardian si scopre la genealogia del fenomeno. “Goblin mode” compare per la prima volta su Twitter, nel 2009. Ma si diffonde dopo un decennio di incubazione nel febbraio 2022, a fine pandemia. Morbo scaccia morbo. E secondo una falsa notizia, la paziente zero del goblinismo sarebbe stata l’italo-newyorkese Julia Fox, musa di Kanye West. Causa sciatteria, il rapper l’avrebbe piantata in asso. Tutto falso, dice lei. Quel che è vero, però, sono i millanta video dei nuovi sfaticati. E va bene, Lord Chesterfield lo diceva che l’uomo è un animale abitudinario, e sicuramente la pandemia avrà abituato la gente al divano. D’accordo. Ma non può essere solo questo. Due giorni fa, in via del Governo Vecchio, un’amica romana mi illumina. Spiega di sentirsi disturbata dalla ceretta. E non per il dolore, che è poca cosa. Ma perché ogni striscia di cera è sadicamente tirata via dalla società etero-patriarcale. Ma strappi per te, le dico, perché la pelle liscia è più bella. E comunque puoi anche non farlo se non hai voglia, cosa c’entra la società? E infatti quasi vorrebbe non strappare più: deve dimostrare al mondo etero-patriarcale che può essere come vuole. Continuiamo a bere il nostro negroni e la questione si fa chiara. La gente resta in casa con la tuta spaiata, mangia surgelati e sposa la scuola del villo.
Ma in tutto questo, insegna l’amica, non è in gioco solo l’accidia post-Covid. Il punto è che si diventa umanoidi senza nascondersi, incolpando tutti fuorché se stessi. Ci si mette dalla parte del proprio declino. E il principio di autodeterminazione all’orrore si alimenta nel finto rifiuto degli altri. Basterebbe non andare più dall’estetista o chiudersi in casa. Essere goblin senza lasciar tracce sui social o dichiarazioni al bar. Ma i post e le invettive svelano che del prossimo si ha sempre bisogno. Anche solo per rinfacciargli qualcosa. Soprattutto per rinfacciargli qualcosa. Se rinunciamo alla cera è colpa del machismo; se non usciamo più di casa è per la pandemia che ci ha depressi. Insomma, il nuovo decennio è cominciato all’insegna delle lagne. E i nuovi mostri, oggi, sono anche le nuove vittime. Non più tenere e innocenti ma piuttosto sciatte e pelosette.
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