La sentenza della Corte sui cognomi avvicinerà ulteriormente l'uomo alla condizione del fuco
Se a un uomo dopo avergli tolto la patria potestà gli togli anche il cognome ecco che lo avvii definitivamente verso l'estinzione
Volete il cognome, avrete l’estinzione. Come incipit mi piace molto anche se necessita di parecchie spiegazioni. Tanto per cominciare quando dico “volete”, in riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale contro l’automatismo del cognome paterno ai figli, non mi rivolgo a tutte le donne: mi rivolgo alle donne che pensano di poter prosperare sulla continua umiliazione degli uomini. Quando parlo di estinzione mi riferisco al crollo demografico che sta affossando l’Italia (leggere “Gli ultimi italiani” dello statistico Roberto Volpi per credere) e che questa sentenza non farà che accelerare. Perché, come ha scritto il mascolinista americano Jack Donovan, un personaggio per i miei gusti un po’ troppo tatuato e però necessario, “gli uomini vogliono essere ricordati, vogliono che la loro tradizione sopravviva”.
Ha detto qualcosa del genere anche Enrico Brizzi, autore che mi sembra più di sinistra che mascolinista: “I padri ricchi lasciano un’eredità, gli altri i segreti e le tradizioni. E chi le interrompe ne sente tutto il peso”. Il suo era un discorso sulla perpetuazione dei nomi di famiglia, sulla bellezza, sulla compassionevole bellezza di dare ai bambini i nomi dei nonni, e invece sullo spietato squallore dei nomi alla moda che spezzano la continuità delle generazioni e datano le persone, tutte quelle Sabrine e Sare e Simone e Simonette che non c’è bisogno di leggere la carta d’identità per sapere suppergiù quando sono nate, all’altezza di quali film di Audrey Hepburn, di quali canzoni di Antonello Venditti...
Brizzi parlava di nomi, oggi parliamo di cognomi ed è pure peggio: i nomi durano in media ottant’anni, la durata di una persona, i cognomi possono durare secoli e distruggerli è come abbattere grandi alberi monumentali. Dico distruggerli perché la sentenza della Corte costituzionale porterà in alcuni casi al raddoppio del cognome, con diluizione dell’apporto maschile, e in altri alla scelta del cognome, con eliminazione dell’apporto maschile qualora la madre sia l’elemento più forte della coppia (magari, e dovrei togliere il magari, dal punto di vista economico). L’uomo, già messo piuttosto male, si avvicinerà ulteriormente alla condizione del fuco, il maschio dell’ape che dopo essersi accoppiato con la regina viene scacciato dall’alveare. E se il fuco è pura natura e dunque non si ribella al suo destino penoso, l’uomo è anche cultura e allo strapotere rosa si ribella anche senza esserne del tutto consapevole: volgendosi in direzione della non riproduzione.
Nessuno vuole essere ridotto a fornitore di sperma. “Un uomo virile desidera che la sua virilità sia ben visibile” afferma il coraggioso Harvey Mansfield in “Virilità” (Liberilibri). Se non gli consenti in alcun modo di manifestare la sua paternità, se dopo avergli tolto (nel 1975) la patria potestà gli togli anche (nel 2022) il cognome ecco che il sentimento del dovere riproduttivo svanirà del tutto. E le donne, le povere donne (siccome la maternità è un desiderio fortissimo che precede qualsiasi ideologia, qualsiasi femminismo), al posto di un figlio avranno un pezzo di carta della Corte Costituzionale.
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