Lo studio
L'eco ansia. L'abuso di sensibilizzazione ecologista produce angoscia nei giovanissimi
Il cambiamento climatico non danneggia solo l'ecosistema ma provoca ansia nei giovanissimi, che nel continuo flusso di notizie, perdono la leggerezza della loro età
I teenager che disertavano scuola erano quasi poesia. Ecco, a pandemia conclusa, il fervore lascia spazio all’angoscia. Nel mese di aprile il Guardian raccoglie pareri di analisti e storie di pazienti affetti da eco-ansia. Anouchka Grose, autrice di una guida al disturbo, spiega come alcuni di loro restino svegli al pensiero di barriere coralline e incendi boschivi. Ma non c’è da stupirsi. L’eco-ansia, tra le altre cose, è logica conseguenza di un nuovo sistema educativo. E’ l’abuso della sensibilizzazione; l’overdose di immagini scorporate dalla freddezza della ricerca. Lia, pupetta di seconda elementare, studia l’italiano e la matematica. Impara dove vanno gli accenti. Ma, ogni tot pagine, il suo libro mette i puntini sulle “i”. Non ha un libro uno che manchi di stigma Sdg (il logo degli obiettivi di sviluppo sostenibile individuati dall’Onu). Il testo ripete vari mantra sulla carta riciclata, gli inchiostri atossici, i cicli naturali rispettati per produrre l’eserciziario. La stessa bambina, racconta il padre, non vede i documentari che vedeva lui. Niente predatori di antilopi. Lia vede Our Planet su Netflix, la docuserie dove sinuosi felini sono rimpiazzati da trichechi e orsi bianchi. Bestie polari e non solo. Sempre e comunque morenti, soffocate dall’afa o cascanti da promontori. In classe parlano spesso di calotte liquefatte. La fine dei giorni è vicina… E grazie che se hai sette anni l’ansia fermenta.
Uno studio del 2021, condotto in dieci Stati e pubblicato su The Lancet, analizza le risposte di 10mila giovani fra i 16 e i 25 anni. La più parte si dice presa da agonie al punto da non riuscire a vivere in pace. Non pochi si chiudono in casa, sommersi da un senso di impotenza. Durante i colloqui di lavoro, i giovani neolaureati insinuano il greenwashing, la patina che si danno le aziende quando sanno che il verde è un must-have. E dunque sono i candidati a fare l’esame di coscienza all’eventuale datore. Mai si farebbero assumere da un fariseo che il green non prende sul serio. Da noi, già nel 2019, l’istituto di ricerca Swg rilevava come il clima fosse in capo agli incubi del 64 per cento di italiani fra i 10 e i 30 anni. Italiani con la voglia di vita oscurata. La febbre dell’ultima moda svanita nell’eco-vintage. Quella di andare a letto sotto i piedi. Alcuni di loro dicono di non volersi riprodurre in un mondo a rischio collasso. E va bene, edonismo ed ecologismo radicale sono incompatibili. Ma se pure ci fosse niente da fare, come dicono i più disperati, non sarebbe meglio uscire e divertirsi? In quel caso, seguendo il poeta, invano ci colpirebbero le rovine. Se pure il mondo cadesse a pezzi, non sarebbe meglio godersi quello che resta? No, rispondono i giovani angustiati. Loro, da un lato. Dall’altro, i ragazzoni che vediamo sullo schermo. E chi se lo scorda il profilo Twitter di Alessandro Gassman? Una vera Liturgia delle Ore in chiave ecologista: “Buona giornata, Terrestri”, “Buon pomeriggio, Terrestri”, “A domani, Terrestri”. Ogni saluto è intervallato da foto e video per scongiurare la fine del mondo. Fra scuola e intrattenimento, l’agitazione incalza. Ma quest’ansia è puro masochismo. E’ l’amore insano del baratro, che quasi quasi diventa bello. Il punto è che quando subentra l’ossessione, i disastri ambientali non sono più questioni da analizzare, problemi risolvere. E nemmeno fatti da arginare. Sono gli atti di un dramma collettivo cui si partecipa con una certa perversione. Lo spiega bene un canticchiato testo sanremese. Tutti lo ricordano per il “culo, ciao ciao”. Non tutti, però, rammentano l’incipit. “Come stai bambina? / Dove vai stasera? / Che paura intorno / E’ la fine del mondo”, così canta Veronica Lucchesi con un’eco-ansia che porta giusto là dove non batte il sole. Nella sdoganata libidine della fine del mondo.