metafore calcistiche
La differenza fra noi froci e loro gay spiegata con il derby Roma-Lazio
In questa società non c’è posto per me, brutto povero e infedele. Come posso fiorire e prosperare in una società che da me non si aspetta più commenti tranchant sul look di tizio e caio, ma consigli su come caricare in maniera ottimale la lavastoviglie?
Una volta, più di vent’anni fa, Roberto D’Agostino mi prese da parte e mi disse: “Tu sei frocio, non ti mischiare con questi gay”. È una distinzione che mi onora, ma che a molte persone – sia omosessuali dell’ultima ora sia etero genuini – sfugge del tutto. Qualche giorno fa, per esempio, ho dovuto spiegarla al mio manager, Umberto Chiaramonte. Umberto è sempre pronto a darmi una mano, soprattutto quando si tratta di proteggermi da me stesso, quindi mi è sembrato giusto, per una volta, ricambiargli il favore aiutandolo a identificare i pericolosissimi gay. D’altronde, da vent’anni a questa parte, raggirano agenti e casting director di tutto l’occidente celando la propria mancanza di talento dietro al loro orientamento sessuale.
Per sfondare le resistenze della sua mente etero, ho dovuto ricorrere a un espediente retorico che un frocio radicale come me teme e rifugge più della monogamia: la metafora calcistica. Per essere certo che Umberto cogliesse l’abisso semantico che separa noi froci da loro gay, ho dovuto usare un termine di paragone a lui familiare: il derby Roma-Lazio, una partita nella quale si scontrano due squadre che, agli occhi di chiunque viva a nord di Terni, sono essenzialmente la stessa cosa, ma che per chi è nato fra Formia e Tarquinia sono diverse quanto una poltrona Chippendale e uno sgabello di Kartell.
Mentre un frocio spera di essere trasportato in carrozzina come una Liz Taylor in pieno coma farmacologico, i gay sognano di sposarsi in chiesa per poi portare in passeggino i loro figli biologici battezzati. Un frocio punta a dissipare senza rimorsi capitali propri e altrui. Un gay sogna un bravo marito e una prole numerosa, proprio come una quindicenne mennonita.
Loro, i gay, ascoltano i podcast di Nicola Lagioia, prodotti da Mario Calabresi. Noi, i froci, leggiamo Richard Hawkins che chiacchiera con Dennis Cooper di twink che si segano su OnlyFans. Loro collezionano uteri da fecondare. Noi collezioniamo vasi (rigorosamente senza fiori: le presenze floreali comunicano al malcapitato ospite che il tuo vaso non può essere rivenduto sul mercato secondario).
Loro risparmiano per garantire un futuro ai propri figli. Noi sperperiamo in gioielli convinti che ci faranno rimorchiare i giovani figli di qualcun altro.
Loro vanno in vacanza in un agriturismo a Noto. Noi ci compriamo svariate camice a maniche corte da Prada, così le possiamo mettere alla sauna Babylon di Bangkok. Ma poi passiamo le vacanze a Lugano a farci un qualche interventino.Loro, quando hanno gente a cena, non sanno dove nascondere i passeggini. Noi, quando alla porta c’è il rider che ci consegna il gelato, non sappiamo dove nascondere i cadaveri delle marchette.
Loro vanno in palestra. Noi di queste palestre ne abbiamo sentito parlare. Ce le nomina sempre il concierge quando soggiorniamo al Claridge’s.
Se penso che negli anni Settanta il povero Michel Foucault si era illuso che noi froci avremmo convertito gli etero alla libertà sessuale… Chissà che magone gli prenderebbe se vedesse da che generazione di gay siamo stati soppiantati: un esercito di cripto-etero palestrati con i denti bianchi come le piastrelle di un cesso, tutti eccitati all’idea di sposarsi in una chiesetta di montagna. Un esteta irredento come Cristopher Gibbs si rivolterebbe nella sua tomba nel cimitero di Tangeri se sapesse che, anziché dilapidare ingenti somme di denaro per arredare divinamente un rudere nel cuore della casba, questi gay scriteriati non fanno altro che mettere da parte i soldi necessari per fecondare una povera ragazzotta di Winnipeg che gli sforni un bambino da sfoggiare in testa ai cortei dei loro gay pride, probabilmente sponsorizzati da una multinazionale che fa biberon ma, per fortuna, anche sigarette.
Come posso io – brutto, povero e infedele – vivere sereno in un’èra in cui da un onesto omosessuale ci si aspetta che si iscriva a pilates, abbia il sorriso di Bradley Cooper e metta su famiglia? Come posso fiorire e prosperare in una società che da me non si aspetta più commenti tranchant sul look di tizio e caio, ma consigli su come caricare in maniera ottimale la lavastoviglie?
Nel caso non l’abbiate ancora capito, io sono frocio e il mio manager è della Lazio.
Costantino della Gherardesca