Saverio ma giusto
Dopo il Covid e la guerra, i cinghiali sono la tempesta perfetta per l'opinionismo da talk-show
A breve avremo i virologi, da quelli che "la peste suina è solo un'influenza" fino al rassicurante "moriremo tutti". La scelta di abbatterli spaccherà la maggioranza. Diversi politici diranno che bisogna sedersi a un tavolo con i mammiferi. Animalismo peloso
Per contenere l’invasione dei cinghiali nella Capitale e il dilagare della peste suina, per ora è stata adottata una zona rossa con tanto di recinzione (chissà se anche loro hanno il divieto di branco e possono uscire solo se dotati di autocertificazione e mascherina Ffp2 indossata correttamente sul grugno, e comunque non dopo il coprifuoco fissato alle 18.00 pena sanzioni amministrative in umido o salmì), ma non basta: si va verso l’abbattimento dei cinghiali. Tutto questo mentre alcuni cittadini romani hanno fatto sapere di aver “adottato” alcuni esemplari – ad oggi si segnalano “Rocco” al Fleming e “Obelix” al Trieste-Parioli. La vicenda si candida così a essere dal punto di vista mediatico la “tempesta perfetta”, capace cioè di catalizzare il dibattimento e l’opinionismo esasperato di questi due anni in un unico, grande vortice: c’è dentro tutto, dal virus alla guerra, dalle armi alle restrizioni.
Possiamo sin da subito scongelare i virologi e ridare spazio e parola a tutti, da quelli che “la peste suina è solo un’influenza”, “le terapie intensive sono vuote, non c’è nemmeno un cinghiale”, a quelli che “in autunno la peste muterà e diventerà bubbonica” fino al rassicurante “moriremo tutti”. Cacciari e Freccero tuoneranno per la libertà dei cinghiali e contro il pensiero unico delle élite che li considera “selvatici”; mentre Enrico Montesano verrà avvistato a Balduina grufolare con una mamma cinghiale e i suoi cuccioli. La scelta di abbattere i cinghiali spaccherà la maggioranza (il governo si vedrà costretto a cessare di dare le armi all’Ucraina ché mitragliatrici e mortai ci serviranno a Roma) e creerà non pochi distinguo: Salvini si dirà contrario all’abbattimento dei cinghiali (anche se verrà immediatamente smentito da numerose foto sul web che lo ritraggono mangiare pappardelle al ragù di cinghiale, e un ristoratore maremmano da cui il leader della Lega andrà in visita si rifiuterà di cucinare per lui mostrando alle telecamere dei tg una maglietta indossata da Salvini tutta imbrattata di unto risalente a quando Salvini mangiava il cinghiale marinato nella vodka in compagnia di Savoini); sulla stessa linea il leader del M5s Giuseppe Conte, che dirà che bisogna sedersi a un tavolo con i cinghiali.
Alessandro Orsini interverrà dicendo che l’invasione dei cinghiali a Roma è colpa della Nato e del suo allargamento nelle foreste, e che se i romani si arrendessero i cinghiali smetterebbero subito di frugare nei loro rifiuti. La filosofa Donatella Di Cesare invece farà notare che a Roma c’è CasaPound, l’Eur, insomma i cinghiali stanno denazificando Roma. Un animalismo peloso e di facciata tenderà a giustificare i cinghiali e animerà l’equidistanza di molte firme sui giornali e ospiti nei talk-show (“né con i cinghiali né con il Comune di Roma”), e persino la Federazione italiana della caccia si dirà contraria ad armare i cacciatori nella Capitale sostenendo che l’unica vera caccia è quella sugli Appennini, mentre il sindaco Gualtieri è un burattino degli americani. L’ad Rai, Carlo Fuortes, verrà convocato in Vigilanza dopo che Bianca Berlinguer avrà ospitato un cinghiale in trasmissione per giunta pagandolo 2 mila euro (verrà fatto notare che nemmeno alla cacciatora in un ristorante stellato costa così tanto), e poi dal Copasir che denuncerà le infiltrazioni di propaganda ungulata nella tv pubblica – tutto questo mentre su Rete4 e la7 dilagheranno gabbiani, ratti e cani randagi. Questo è quello che ci aspetta. Come evitarlo? Smettendo di parlarne.